sabato, ottobre 27, 2007

Panico in rete

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 08 giugno 2005
In questi giorni, si sente tutto un guaire sul fronte degli islamofobi. Gente che fino a ieri invocava espulsioni e arresti in massa delle persone provenienti da paesi islamici, oggi invoca la "libertà di opinione". Fatevi un giro sui blog per credere...

Alla radice di tutto questo, la comparsa dell'Islamic Anti-Defamation League, che sta seminando panico (e vittimismo) appellandosi semplicemente (e con molta diplomazia e disponibilità al dialogo) alla legge, in particolare alla Legge Mancino che colpisce la "discriminazione razziale, etnica e religiosa". Vi lascio seguire gli sviluppi - alcuni assai divertenti - sul blog di Sherif, e passo a un paio di commenti miei.

Sul blog di Peacepalestine, apprendiamo che Edgar Morin, intellettuale di origine ebraica, è stato condannato in base al cugino francese della Legge Mancino, per "diffamazione razziale", in base a due frasi apparse sul giornale Le Monde. Eccole:

"E' difficile immaginarsi come una nazione di profughi, originata da un popolo che è stato perseguitato più a lungo di qualunque altro nella storia dell'umanità, che ha subito le peggiori umiliazioni e il peggiore disprezzo, abbia potuto trasformarsi nell'arco di due generazioni in un popolo dominatore, sicuro di sé e, con l'eccezione di un'ammirevole minoranza, in un popolo che è arrogante e trae soddisfazione dall'umiliare".

"Gli ebrei, che erano vittime di un ordine spietato, imposero un ordine spietato ai palestinesi".


I signori dei blog islamofobi alzino il mouse per dire cosa pensano di questa sentenza. Se non hanno niente da obiettare, possiamo usare queste due frasi, spannometricamente, come criterio per giudicare anche i siti islamofobi. Ditemi voi se la Fallaci, o i blog islamofobi, si esprimono in genere in maniera più oppure meno "diffamatorio" o "discriminatorio" verso i musulmani, di quanto si sia espresso Morin verso gli ebrei. Come dice Dacia Valent, "Ogni volta che trovate un post, o una mail, o magari semplicemente una scritta sui muri contro i musulmani, provate a sostituire la parole con ebrei, ebraismo, giudaismo."

Seconda considerazione. "I musulmani non sono una razza, quindi li possiamo insultare come ci pare", è in sostanza la difesa degli islamofobi. Hanno ragione: le razze sono esistite solo nella testa di Adolf Hitler, quindi a rigore non può esistere la discriminazione o la diffamazione "razziali". Allora, se io dico che "i gialli sono schifosi vermi che non dovrebbero esistere?" non sono razzista, semplicemente perché "i gialli" non esistono?

La questione non è così semplice. Perché se non esistono le razze, esistono eccome i razzisti. Cioè persone che definiscono a proprio piacimento un gruppo di persone in base alle sue origini, e ci riversano sopra tutto il proprio astio. I "gialli" non esisteranno, ma lo specifico cinese che io accuso di essere un oppiomane pedofilo agente di Mao, "come tutti i gialli", sicuramente esiste.

In questo senso, non c'è alcuna differenza tra avercela con "gli ebrei", "i terroni", "i musulmani" o "gli zingari".

Terza considerazione. Ho sempre detto che sono contro tutti i reati di opinione, legge Mancino compresa. Ma se la legge c'è, e se il novanta percento della "discriminazione su basi razziali, etniche e religiose" in Italia è oggi diretta contro persone di fede islamica, non vedo perché non debba valere anche per i musulmani.

Comunque, siccome da ogni male può sempre nascere un bene, invito gli islamofobi che oggi se la prendono con la legge Mancino a unirsi nella lotta per abrogare tutti i reati di opinione e associativi. C'è il "vilipendio alla religione", c'è il "vilipendio alla bandiera nazionale o ad altro emblema dello Stato" (pena di base anni tre), c'è l'"offesa al Capo di Stato"...

Ma anche e soprattutto - ripeto - c'è la "associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico", punibile con pene dai sette ai quindici anni. Ora, nessuno ha definito che cosa sia il "terrorismo"; e una simile legge può tranquillamente colpire chi si "associa" pacificamente in Italia, senza violare alcuna legge del nostro paese, a persone che si oppongono a una dittatura all'altro capo del mondo. Anzi, non è necessario nemmeno "associarsi", c'è anche una pena non lieve per "assistenza agli associati".

Diritto di critica, diritto di scrivere sciocchezze a tutto spiano, a frequentare chi vogliamo. Io preferisco un mondo in cui si leggano idiozie su chiunque, ma in cui non si vada in galera per aver offerto il pranzo a un oppositore del regime di assassini e torturatori che vige nella Tunisia "amica" e "moderata".

Però senza usare due pesi e due misure. Chi non obietta al principio stesso del reato di opinione e del reato associativo, si becchi il signor Mancino. Non so se lo merita nessuno, forse; ma se qualcuno se lo merita, sono certamente gli islamofobi cartacei e internettari.

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Il romanzo del Pinocchio d'Egitto

Post originale tratto dal blog Kelebek di venerdì, 03 giugno 2005
Magdi Allam si sta facendo sentire in occasione del lancio del suo ultimo libro, Vincere la paura. Conoscendo il personaggio, siamo sicuri che si tratta di un romanzo avvincente.
Magdi Allam è infatti noto con il simpatico nomignolo di "Pinocchio d'Egitto", affibiatogli da Valerio Evangelisti, per le sue doti di creatività. Come quando attribuì a un tranquillo insegnante no global di Roma la frase “anche il buon Hitler... non aveva tutti i torti...”

In breve, il metodo giornalistico di Magdi Allam si può riassumere tutto in un suo articolo per il Corriere del 28 settembre, 2003, dove cita i seguenti casi:



  • Da un'intercettazione telefonica, risulta che un immigrato avrebbe detto a un altro immigrato che un certo musulmano, regolarmente residente in Italia, è una brava persona ed è generoso con i poveri.

  • La polizia ha fermato un gruppo di musulmani che giravano in una macchina con un pesante carico di monetine di metallo - 4.500 euro. Erano i soldi della zakàt, che stavano raccogliendo come prescritto dall'islam, che poi vanno ai bisognosi.

  • In un comunicato, un'associazione islamica si è permessa di criticare un'occupazione militare, condannata anche da numerose risoluzioni dell'ONU.

  • In Friuli un gruppo di musulmani ha raccolto soldi per i terremotati algerini.


Il titolo dell'articolo?

"Versamenti segreti ai terroristi. Ecco le carte che accusano gli imam. Intercettazioni e verbali, quattro documenti sul traffico di denaro."

Ma arriviamo al presente. Scrive Magdi Allam:



"Da circa due anni vivo sotto scorta per la minaccia dei terroristi islamici a cui si sono rapidamente aggiunte altre minacce di nazionalisti arabi, estremisti di destra e di sinistra in Italia."

Insomma, Magdi Allam va in giro come Berlusconi, sempre circondato da un branco di uomini con gli occhiali scuri, pagati da noi. Ma il problema è capire che cosa vuol dire "minaccia". Ad esempio, io tutti i giorni ricevo messaggi come questo:

"Fai pena vomitando nefandezze contro Oriana Fallaci un consiglio? Mozzati la testa come fanno i tuoi amici con la testa dei Cristiani"

A modo suo è una minaccia, ma non ho mai pensato di chiedere la scorta. Magdi Allam avrà ricevuta un'e-mail del genere, firmata "il tuo terrorista islamico"?

Non esattamente, perché secondo Magdi Allam, la minaccia verrebbe dalla "dirigenza di Hamas". Telefonata alle tre di notte in casa Allam: "Pronto, sono il capo supremo di Hamas e un giorno di questi ti farò fuori". Clic. Considerando i metodi di Magdi Allam, credo che un sacco di tranquilli insegnanti no global, di pescivendoli pakistani e di altri disgraziati avrebbero voglia di fare una telefonata del genere.

Insomma, il fatto che il tizio abbia detto, "sono il capo supremo di Hamas" non vuol dire che lo sia davvero. Anche perché Hamas non ha mai compiuto alcuna azione al di fuori della Palestina, e francamente con tutti i nemici che ci sono in giro, non si capisce perché l'unica eccezione dovrebbe essere proprio il nostro Pinocchio.

Comunque, sono tutte illazioni, visto che Magdi Allam si rifiuta di spiegare come, quando e da chi sia stato minacciato (in compenso ci dice tante cose sulla sua famiglia che ne soffre e così via).

Però lui dice, come ha fatto il tizio che lo avrebbe minacciato a sapere che lui non era semplicemente un pizzaiolo cairota? Visto che nessun arabo può essere al corrente dell'esistenza del Corriere della Sera, il minacciante (sempre che non fosse un insegnante no global) deve aver avuto una talpa italiana.

E Magdi Allam ha deciso che quella talpa deve essere nientemeno che Hamza Roberto Piccardo, segretario nazionale dell'UCOII (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia). Perché? Beh, è italiano (e quindi sa che esiste il Corriere della Sera) ed è musulmano (e quindi deve essere un militante di Hamas). Anzi, Magdi Allam fa capire, Hamza Piccardo avrà sicuramente emesso una fatwa contro di lui.

Se non ci fosse da piangere verrebbe da ridere. Hamza Roberto Piccardo è un insolito dirigente di un'organizzazione, perché ha saputo mantenere delle qualità che in genere avvizziscono con gli incarichi: senso dell'umorismo, indipendenza di pensiero, curiosità di conoscere. E si pone da anni il problema di come vivere un Islam che sia europeo e non arabo, che conviva con altre religioni e culture, ma che non perda lo spirito di giustizia e di solidarietà. Se volete sapere chi è Hamza, leggetevi il suo libro, Il puzzle del Derviscio.

Non lo consiglio invece a Magdi Allam, perché lo troverebbe decisamente noioso. Non contiene ricatti, minacce, veline di servizi segreti o documenti falsi.








Nota all'immagine. A scanso di equivoci, ho un grande rispetto per i maiali, che in condizioni decenti di vita sono intelligenti, puliti e socievoli. E' solo che non ho trovato un'immagine migliore di guardie del corpo. Quindi fate finta che il maiale non ci sia.

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Il firmatario e l'omertà

Post originale tratto dal blog Kelebek di giovedì, 26 maggio 2005
Due notizie a breve distanza di tempo.
La prima è che la denuncia di Adel Smith, il famoso musulmano di Ofena in provincia dell'Aquila, per "vilipendio alla religione" contro Oriana Fallaci è stata accolta.
La seconda è la protesta della neonata Islamic Anti-Defamation League (IADL) italiana contro il giudice Michele Montingelli.

Sul primo caso, due commenti.

Uno, Adel Smith è il capo di un gruppo composto da lui, sua moglie, un'infermiera e un venditore di materassi romano (peraltro una brava persona), si dichiara capo della "Unione Musulmani d'Italia", ed è diventato famoso solo grazie alla provvidenziale mediazione di Bruno Vespa. E' anche firmatario di un libro dal pittoresco titolo Iddio maledica l'America: ben 14 pagine di questo testo sono tratte di peso, virgole comprese, da un articolo mio e da uno di Roberto Giammanco, pubblicati sul mio sito.

Smith non solo non cita la fonte, non cita nemmeno gli autori. Per questo lo chiamo appunto firmatario e non autore di quel libro.

Due, in una democrazia non devono esistere i reati di opinione. Ognuno deve essere libero di scrivere le sciocchezze che vuole sui musulmani, sul Papa, sui gay, sugli eschimesi, sui calabresi o sui veneti. Ovviamente senza per questo andare a picchiare musulmani, papi o altri.

Sta alle persone intelligenti, e non ai giudici, rispondergli.

E lo stesso si potrebbe dire di quei reati d'opinione mascherati da "associazione sovversiva", quelli che colpiscono l'essere "contigui" a chi si "propone" atti eversivi, o la legge 27/11/2001 n. 415 contro le "comunità politico/religiose" nemiche.

Però, finché esistono reati del genere, i musulmani hanno il diritto di rivolgersi ai tribunali come tutti gli altri. Adel Smith è stato a sua volta denunciato per vilipendio alla religione cattolica, per aver detto cose oggettivamente molto meno gravi di quelle dette da Oriana Fallaci (il denunciante, Arrigo Muscio, un simpatico signore sul cui sito web troviamo foto e testimonianze dirette dall'Inferno, abbandonò l'aula durante l'udienza perché mancava il crocifisso).

Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha dichiarato, a proposito del rinvio a giudizio di Oriana Fallaci: «ormai siamo di fronte alla coercizione del pensiero». Bene, che si dia da fare per abolire i reati d'opinione - tutti - oppure incassi e taccia. Non mi ricordo di averlo sentito protestare quando, per lo stesso reato d'opinione, è stato colpito il server di Indymedia, reo di aver pubblicato un fotomontaggio (tecnicamente fatto male e decisamente imbecille) di Ratzinger vestito da nazista.

Il secondo caso è meno divertente, ma anche più chiaro. Un gruppo di musulmani (gente più seria anche se meno mediatica di Adel Smith) accusa il giudice Michele Montingelli, non per un'opinione scritta in un libro, ma per qualcosa di molto più grave: un parere discriminatorio espresso in una sentenza, in cui ci vanno di mezzo quindi persone che sono in balia di un magistrato.

Vi lascio all'ottimo riassunto che ne dà Sherif nel suo blog, comunque il punto è semplice.

Giudicando il caso di un immigrato marocchino, Montingelli ha scritto che eventuali testimoni a favore dell'immigrato (accusato di maltrattare una figlia un po' ribelle) non si distinguerebbero "per inclinazione al rispetto delle leggi italiane," in quanto musulmani. Il concetto viene espresso in maniera un po' contorta nella sentenza, ma chiarissima nelle interviste da lui rilasciato in seguito.

Ora, è vero che ogni comunità di persone precarie, impaurite, timorose di venire espulse (e magari mandate nei lager in cui Gheddafi ospita nel deserto ciò che l'Italia espelle), tende a compattarsi di fronte a uomini in divisa e tribunali. Un italiano lo dovrebbe capire subito, visto che tutto il mondo usa la parola omertà per definire il concetto. Comunque, le considerazioni di Montingelli sono gratuite, visto che lui ha condannato i testimoni senza nemmeno averli sentiti (l'imputato non li aveva nemmeno citati).

Non solo. Montingelli trasforma una mezza verità sociologica sulle comunità marginali in una menzogna su una specifica religione. In un'intervista, dichiara infatti, "ho constatato che testi provenienti da aree musulmane tendono a fornire versioni non corrispondenti al vero. [...] Pur di raggiungere gli scopi che la religione suggerisce loro, appaiono disposti a violare la legge."

Chi sa se era per "raggiungere gli scopi che la religione suggeriva loro", che certi "testi provenienti da aree cattoliche" solevano pregare nei tribunali di mezzo mondo con queste antiche parole:


"Nun sacciu, nun vidi, nun ceru; e si ceru, dormivu"

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La vergogna di possedere ancora l'aria per respirare

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 04 maggio 2005
Ricevo diverse mail, che mi chiedono come mai il blog viene aggiornato con tanta lentezza.

La risposta è semplice: devo fare il mio dovere verso il sistema. Faccio il traduttore, e ho pochissimo tempo libero.

C'è sempre qualcuno che dice "che bel mestiere!" In effetti,anche se si guadagna poco, non ho un padrone capriccioso che mi soffia sul collo, lo faccio da casa o dove voglio, basta avere il portatile con me. Posso prendermi il lunedì libero e lavorare la domenica.

Ma non traduco opere letterarie: traduco contratti, solleciti vagamente minatori di pagamento, pubblicità carica di retorica e di falsificazioni, bolle di accompagnamento e descrizioni anatomiche di motori. Capirete a quale mestiere somiglia di più, se vi dico che si deve sempre far provare piacere al cliente, senza quasi mai provare piacere noi (i clienti più perversi sono i grafici pubblicitari).

Il mio compito fondamentale consiste nel far accelerare il flusso di merci e di denaro sul mercato globale; e a essere onesti con sé e con gli altri, si tratta di un'attività ben più immorale e dannosa di quella che svolgono le mie colleghe/colleghi che non lavorano con il computer, ma direttamente sui marciapiedi.

Un'ottima occasione per ricordare l'aforisma numero cinque, Antitesi, dei Minima moralia di Theodor Adorno (nella bella traduzione di Renato Solmi, Einaudi 1954/1994), di cui cito qualche brano:


Chi non collabora corre il pericolo di credersi migliore degli altri e di fare della propria critica della società una ideologia al servizio del proprio interesse privato. Mentre cerca di fare della propria esistenza una fragile immagine della vera, egli dovrebbe sempre tener presente questa fragilità, e sapere quanto poco l'immagine sostituisce la vera vita. A questo riconoscimento contrasta la forza irresistibile dell'elemento borghese in lui.

Chi si tiene in disparte non è meno invischiato dell'attivo e affaccendato: nei cui confronti non ha che il vantaggio di conoscere il proprio irretimento e la felicità di quel tanto di libertà che è insito nel conoscere come tale. La propria distanza dal business è un lusso che il business rende possibile. Perciò ogni sforzo di sottrarsi reca i tratti di ciò che è negato. La freddezza a cui non può non dar luogo non è dissimile dalla freddezza borghese [...]

Non c'è via d'uscita da questo irretimento. Il solo atteggiamento responsabile è quello di vietarsi l'abuso ideologico della propria esistenza, e - per il resto - condursi nella vita privata, con la modestia e la mancanza di pretese a cui ci obbliga, da tempo, non più la buona educazione, ma la vergogna di possedere ancora, nell'inferno, l'aria per respirare.


Torno al lavoro. Ieri c'erano i lampioni in ghisa, oggi abbiamo una macchinetta per fare il caffè espresso. Scusatemi, vado a servirli.

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Nel piccolo stagno dei rospi

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 20 aprile 2005
Qualche giorno fa mi sentivo un alieno in un vasto lago di coccodrilli che piangevano rumorosamente per la dipartita di Karol Wojtyla.
Oggi mi sento ugualmente un alieno, nel piccolo stagno dei rospi che piangono per l'elezione di Ratzinger. Certo, è un piccolo stagno, la maggior parte delle persone fanno come Roberto Castelli, 58 anni e con figli, che ha appena sposato Sara Fumagalli, 33 anni, con un figlio pure lei.
Finora la loro convivenza, presumo successiva a vari divorzi, era stata legittimata solo da un "matrimonio celtico". Di divorzi, riti paganeggianti, convivenze e risposamenti non me ne potrebbe importare di meno, se Castelli non fosse stato il primo politico italiano in assoluto a congratularsi con Ratzinger: "contro il pensiero unico del relativismo etico, un grande Papa". Sappiamo tutti che relativismo etico è una parola in codice per parlare proprio di divorzi e affini.

La lamentela (nel piccolo stagno) la conoscete tutti - Papa reazionario, ritorno al Medioevo, peggio di Pio XII e così via. A parte il banalissimo fatto che Ratzinger era già il Papa a tutti gli effetti da diversi anni a questa parte, e quindi cambia poco, qualche commento ci vuole.

Chi fa questi discorsi si basa sulla definizione dei media: "conservatore" nei momenti generosi, "inquisitore" nei momenti cattivi. I media infatti tendono a dare etichette alle persone, e poi rappresentare tutto come uno scontro tra questi uomini-etichetta. Vi ricordate il falco Rumsfeld contro la colomba Powell, come spiegazione autosufficiente della guerra imperiale? Queste etichette hanno fatto poi comodo anche al Vaticano, per porre in risalto la figura del "grande" Karol Wojtyla, al di sopra delle parti.

La personalizzazione, tipica del sistema dello spettacolo, ci risparmia la fatica di analizzare i ruoli: Rumsfeld doveva fare direttamente la guerra, Powell doveva convincere anche gli altri a fare la guerra; ma sempre di guerra si trattava. Mentre altri avevano il compito di sorridere alle folle, Ratzinger aveva il compito ugualmente importante di definire i confini dell'istituzione; ma i suoi documenti, così duri (per non dire ossessivi) contro vari tipi di relazioni affettive tra persone, non sono certo passati senza l'approvazione di Wojytla.

Così al posto del Papa Buono e del Papa Grande, adesso abbiamo il Papa Severo, ma nessuna analisi di cosa sia il Vaticano, che è una questione molto più interessante. In questo annullamento della riflessione, non c'è differenza sostanziale tra Bruno Vespa e Liberazione.

In questi giorni, i laicisti sembrano essere caduti in pieno nella trappola mediatica: con i funerali di Wojtyla, il Papa dei cattolici è diventato il Papa dell'intera specie umana. Il cattolicesimo ha smesso di essere un particolare culto di Dio, per diventare il culto planetario di Karol Wojtyla. E quindi anche l'ateo più incallito si sente coinvolto dalla domanda, "chi sarà il nostro Papa?" Ora, Ratzinger non è il mio Papa, perché non ho papi. Le stesse persone, in massima parte di sinistra, che oggi si lamentano dell'elezioni di Ratzinger non avrebbero nulla da ridire su chi viene eletto dal congresso di Alleanza Nazionale.

I laicisti confondono almeno tre questioni diverse: la cosiddetta "morale", la dottrina e la politica.

La Chiesa cattolica ha il diritto di ritenere che vadano all'inferno gli omosessuali, i mangiatori di carne Simmenthal, i divorziati, le persone che si tingono i capelli di blu, i messicani o i consumatori di anticoncezionali. Chi nega alla Chiesa tale diritto non è un laico, ma vuole uno Stato etico che prenda il posto delle religioni, e religioni che prendano il posto dei servizi sociali.

Il problema sorge quando la Chiesa smette di parlare di inferno e parla invece di "natura". E' un'idea filosofica antica e legittima, che non ha assolutamente nulla a che vedere con quello che intendono per "natura" i lettori di Focus. Solo che oggi il Vaticano gioca con l'equivoco per far capire che la monogamia o l'eterosessualità sarebbero come l'acqua pulita, e il loro contrario sarebbe come il piombo nelle falde acquifere. E quindi un problema di tutti. Mentre le argomentazioni teologiche in materia hanno una loro dignità, questo argomento non regge a trenta secondi di ragionamenti, e quindi può essere sostenuto unicamente grazie a una combinazione di ottusità e di malafede.

Con questa scusa, la Chiesa pretende di interferire anche nella vita personale di chi non si identifica con la Chiesa. Chiaramente questa interferenza è resa possibile proprio da una modalità decisamente modernista della Chiesa, che non parla più di significati profondi, ma solo di un presunto bene della società. Questa interferenza va respinta con forza, non perché "medievale", ma semplicemente perché indebita (almeno finché la Chiesa continuerà a farsi dare l'otto per mille). E perché omosessuali, divorziati e tutti gli altri hanno tutto il diritto di difendersi dall'intrusione di qualcosa in cui loro stessi non credono.

Per quanto riguarda la dottrina, esistono molte persone che sono nate cattoliche e che oggi hanno fatto altre scelte. Anziché rendersi serenamente conto di essere ormai altrove, molte di loro pretendono che la Chiesa li segua sulla loro strada. Cosa che il clero è spesso prontissimo a fare, pur di non perdere gregge. Dimenticando che il cattolicesimo è sostanzialmente la concretizzazione (anche liturgica) di uno straordinario racconto mitico che parla di:

peccato originale - redenzione dal peccato tramite il sangue del Dio incarnato - sacramentalizzazione del sangue e del corpo di Cristo - gestione dei sacramenti da parte di un'istituzione gerarchica che possiede le chiavi del paradiso e dell'inferno

Se il cattolicesimo venisse ancora raccontato così, rimarrebbero in pochi (certamente Castelli e Vespa non ci starebbero). Allo stesso tempo, se si rinnega questo racconto, resta solo una carcassa morta, pullulante di scout, proprietari di scuole private e papaboys.

Wojtyla è riuscito a sfuggire a questo dilemma con la geniale nullità dei suoi discorsi. Ratzinger forse cercherà una maggiore definizione. Ma chiaramente, un laico dovrebbe essere più contento, più si autodefinisce la Chiesa.

Chiaramente la dottrina, come la liturgia, è un fatto del tutto interno alla Chiesa, e non vedo perché chi non c'entra niente, e chi non ne capisce almeno un po' la logica, debba farsene giudice.

L'ultimo punto è quello politico. La Chiesa cattolica postconciliare cerca di imporsi non come detentrice di verità o di sacramenti, ma come coscienza buonista del pianeta, come custode della "vita". E' talmente buona e vaga che tutti devono riconoscere nel Papa qualcuno meglio di loro: il Nonno del Mondo, insomma. Da qui deriva l'insinuante potere di benedizione, con cui il clero oggi volge verso di sé tutto il volgibile. Come dice il Tao Teh King:


Chi conosce la propria forza virile,
ma conserva la propria debolezza femminile,
come verso un unico canale fluiscono i molteplici scarichi,
tutti vengono a lui, sì, tutti, sotto il cielo.

Da questa vaghezza benedicente che caratterizza la Madre Chiesa, deriva anche la possibilità di interferire nella micropolitica concreta; ma mai fino al punto di definirsi, perché a quel punto il potere avvolgente e insinuante cesserebbe di esistere. Quando, misteriosamente, la sinistra rifiuta di impegnarsi nei referendum sulla procreazione assistita, o quando, altrettanto misteriosamente il 70% degli abitanti della Basilicata - regione che non ha certo tradizioni storiche di sinistra - decide di votare per l'Unione; ecco, allora si percepisce "come verso un unico canale fluiscono i molteplici scarichi".

Ma l'accusa mossa a Ratzinger è precisamente quella di definizione. Se l'immagine mediatica di Ratzinger è esatta, e se non ci siamo lasciati ingannare semplicemente dai ruoli, si deve dare ragione a Helena Velena quando afferma:


"Oggi e' un grande giorno di festa per tutte le creature libere. Un giorno di festa per chi non sopporta l'ipocrisia, la menzogna velata."

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L'industria culturale e l'anima sfuggente

Post originale tratto dal blog Kelebek di martedì, 19 aprile 2005
Qualunque cosa si pensi politicamente dell'impero americano, non si deve sottovalutare lo straordinario prodotto che accompagna e precede ovunque i suoi bombardieri: le creazioni fantastiche dell'industria culturale di Hollywood.
Il cinema americano rispecchia l'inganno di fondo degli Stati Uniti, che potremmo definire la fantasia del soldato Ryan. Nei primi anni Quaranta, un gigantesco impero entrò in guerra con un aspirante impero, e lo annientò. Lo annientò con armi date ai sovietici, che sono morti a milioni; lo annientò producendo quasi 200.000 aerei che distrussero ogni città della Germania - ma anche molte dell'Italia, della Francia e di altri paesi; e solo dopo impegnò direttamente anche le proprie forze.
In questo processo, l'indice della produzione negli Stati Uniti salì da 100 nel 1939 a 239 nel 1943. Una pioggia incessante di finanziamenti cadde su un centinaio di imprese, che alla fine della guerra si trovarono in mano un quarto dell'economia del pianeta.

Dopo, semplicemente, non hanno mai smobilitato. Il geniale sociologo americano, C. Wright Mills, poteva scrivere negli anni Cinquanta una cosa attualissima: gli Stati Uniti erano una società in cui "la guerra o uno stato molto attivo di preparazione alla guerra è la situazione normale e, sembra, permanente degli Stati Uniti".

Ma tutto questo processo non viene visto: il cinema non racconta la storia delle gigantesche ditte di trasporti e di macellazione che invasero il West con il loro bestiame alla fine dell'Ottocento; conosciamo solo la storia di liberi individui. Alcuni sono buoni, altri cattivi: non è questo il problema. Infatti, si tratta di simulare non la bontà, ma l'umanità.

Infatti, è un errore ritenere che lo scopo del grande mistificatore Spielberg fosse quello di farci credere che gli americani fossero semplicemente buoni: la falsificazione è molto più grande, perché deve farci credere che un intero sistema sia tanto umano da voler salvare davvero il soldato Ryan.

Ma per quanto riesca a rappresentare in modo insuperabile gli affetti, l'amicizia, l'odio, la vendetta, l'industria culturale è totalmente incapace di rappresentare l'anima. Esiste certo una vasta produzione religiosa dell'industria culturale, che va da Ben Hur ad alcune fantasie New Age sulla reincarnazione: tutta caratterizzata da grandi effetti speciali, da un pesante quanto involontario umorismo e dal materialismo più gretto mascherato da sentimentalismo perbenista. Si tratta semplicemente di porre il sigillo della potenza divina sulla suburbia del ceto medio americano, oppure di fingerne l'immortalità.

E' consolante pensare che tutti i miliardi di Hollywood non potrebbero mai fare quello che fece Sergej Paradzhanov (per i motori di ricerca, diciamo che si può anche scrivere Parajanov, Paragianov, Paradjanov e persino Paradjanian). Ho avuto la fortuna di vedere la maggior parte dei suoi film, in cinema deserti e in salette alternative, e non è detto che tutti i lettori di questo blog lo conoscano. Paradjanov (1924-1990), armeno ma vissuto a Tbilisi in Georgia, lavorò in circostanze che affinano l'anima, per chi ne possiede una: alle prese con un'arida e sospettosa burocrazia sovietica e con mezzi tecnici limitatissimi, ma anche senza l'assordante e insensata iperstimolazione della mercificazione capitalista. Negli anni Settanta, si fece anche quattro anni di lavori forzati a Dnepropetrovsk, per "tendenze omosessuali", "traffico di oggetti d'arte" e "istigazione al suicidio". Diverse delle sue poche opere sono state tagliate dalla censura, o sono semplicemente sparite.


Paradzhanov


Sergej Paradzhanov

Da questa costrizione, dallo scontro tra un'inesauribile vitalità e un tragico fallimento, nascono opere che sono gioielli di straordinaria bellezza; i caratteri georgiani - certamente la più bella forma di scrittura che l'uomo abbia mai inventato; uno straccio multicolore che diventa una statua, un disegno che sta per una nave, una miniatura in stile persiano che si anima e si carica di melograni.

Paradossalmente, fu proprio l'URSS a permettere a Paradzhanov di darci ciò che ci ha dato - con il senno di poi, il mondo sovietico fa venire in mente la grande muraglia che secondo la leggenda, Alessandro avrebbe costruito per tener fuori le orde di Gog e Magog; e ora che quel muro è crollato, possiamo davvero sentirci addosso il freddo vento della creative destruction.

Paradzhanov è anche il figlio di un mondo doloroso, ma straordinariamente ricco: quello che segna il lungo confine e la delicata interazione tra Bisanzio e l'Islam. Il mondo che è stato descritto da Nicholas Roerich e da William Dalrymple; il mondo che viene simbolicamente distrutto con la dissoluzione dell'Iraq e della Palestina.

Il mondo che perisce tra le fiamme del museo di Baghdad, con la fine della comunità ebraica della Mesopotamia, con la cacciata dei siri cristiani da Betlemme per fare posto ai centri commerciali degli immigrati americani di Gilo e con il lucido delitto di Ferruccio de Bortoli (il manager, per chi non lo ricorda, di Oriana Fallaci). Ma su questo ho fatto già qualche ragionamento sul mio sito.

Tre siti su Paradzhanov:


- Paradzhanov Museum


- TbilArtNet

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Sistema bipartitico

Post originale tratto dal blog Kelebek di domenica, 10 aprile 2005
"Oche", "showgirl", "veline" o semplicemente "sceme"... Però a volte le persone descritte o descrivibili in questo modo hanno una chiarezza di visione che non è oscurata dalla fitta coltre di ipocrisia di coloro che pretendono di non essere scemi.
Prendiamo questa intervista con la "showgirl" Flavia Vento, candidata alle regionali del Lazio per Pri-Pli, una delle formazioni della lista Storace, in concorrenza con la lista Marrazzo (dove spiccavano invece due partiti dal nome, rispettivamente, "Forza Roma" e "Avanti Lazio").
Già il nome di questo partito è interessante: una volta c'erano due partiti, il Pri e il Pli. Tutti e due erano di centro, solo che il Pri era anche di sinistra e il Pli di destra. Adesso invece sono sempre tutti e due di centro, solo che sono pure tutti e due di destra, anzi sono tutti e due lo stesso partito. Mi dicono però - ma non ho voglia di controllare - che esiste anche un altro Pri che è sempre di centro, solo che è anche di sinistra, per cui il numero di partiti rimarrebbe uguale a prima.

Comunque sentiamo cosa dice la signora Vento, perché il quadro che dipinge della politica italiana è molto più onesto e realistico di quello che può dipingere, che so, un Casini o un Fassino. E infatti, sostengo pienamente la sua autocandidatura - espressa nell'intervista - a condurre un "contenitore politico" in Tv. I motivi dovrebbero essere chiari a chiunque abbia letto il mio articolo sulla Faina e il Cannocchiale. Certamente Flavia Vento sarebbe molto meno subdola e malvagia di Bruno Vespa.


Domanda: A elezioni appena perse ha detto di aver fatto male a candidarsi per Storace. Non è elegante.

Ma io mi sono candidata per amicizia, più che per l'ideologia. Io stima la persona, mi spiace abbia perso.


Se invece avesse vinto non si sarebbe pentita?

Visto il mio personale risultato di 34 voti raccotli, mi sarei pentita comunque.

La batosta elettorale è stata dura da mandare giù?

Non ci facevo conto. Consideri che fino a un mese fa andavo alle cene in sostegno di Marrazzo. E sono contenta che sia stato eletto.

Da oggi cosa farà, tornerà alla tv o si dedicherà ancora alla politica?

Ora frequenterò una scuola di recitazione, farò tv e poi quando capirò bene in che partito stare, magari... Comunque mi piacerebbe condurre un programma in stile Cecchi Paone, opppure un contenitore politico.

La nuova Anna La Rosa?

Ecco... Certo dovrei studiare

(intervista di Ilaria De Bernardis, su Metro del 7 aprile 2005).

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La mamma di Cogne, Giuliana Sgrena e un mio amico

Post originale tratto dal blog Kelebek di sabato, 09 aprile 2005

Non ho mai visto Gianluca Preite, ma me lo immagino timidissimo, con i capelli molto corti e un grosso distintivo della FBI su un cappellino comprato al negozio di articoli militari. Comunque sia, questo individuo fino a quel momento praticamente sconosciuto si è presentato qualche giorno fa alla Procura di Roma, accompagnato da un individuo molto più noto, l'avvocato Carlo Taormina.


avvocato carlo taormina a cogne


Carlo Taormina, mentre annuncia al mondo che dirà il nome del vero assassino di Cogne

Questa volta la Mamma di Cogne non c'entra. Taormina e Preite hanno raccontato ai magistrati che il signor Preite, hackeggiando per Internet, avrebbe intercettato in qualche misterioso modo una telefonata in italiano tra un mio amico - un simpatico ristoratore di Foligno, di nome Moreno Pasquinelli - e i rapitori di Giuliana Sgrena, in cui il mio amico umbro avrebbe dato l'ordine di sparare alla povera giornalista: me lo immagino, con il suo vivace accento romano-umbro e i clienti che lo interrompono per chiedergli dove sta l'aceto.

Preite ha consegnato un dischetto, contenente a suo dire "le prove". Inutile dire che nel dischetto non c'era nulla. I magistrati cominciano a insospettirsi anche di Preite (quello che penseranno ormai di Taormina è facile da immaginare), e così

"Scoprono che l´ingegnere [Preite] ha dei precedenti, perché agli inizi del febbraio scorso, la procura di Chieti lo ha messo sotto inchiesta. Accertano che, in quell´inchiesta, Preite è finito per non aver pagato un conto di albergo e che nella sua abitazione, è stata trovata, una uniforme della finanza e un badge contraffatto del Sismi. I pubblici ministeri di Roma si convincono che Preite sia il terminale di una operazione di disinformazione e lo iscrivono al registro degli indagati per «accesso abusivo al sistema informatico» (La Repubblica, 6 aprile 2005).

Insomma uno sciroccato, ma uno sciroccato che si può permettere uno degli avvocati più famosi, costosi e potenti d'Italia, Carlo Taormina; e non per difendersi, ma per togliersi uno sfizio. Forse però i rapporti tra i due non sono esattamente quello che sembra: è più probabile insomma che sia un Taormina a potersi permettere un Preite e non viceversa. E infatti sono due anni che Carlo Taormina prende di mira l'organizzazione in cui milita Moreno Pasquinelli, il Campo Antimperialista.

Si tratta di un'organizzazione che sostiene che esiste il diritto di resistere all'invasione e al saccheggio. Più o meno gli stessi concetti espressi secoli fa da Tommaso d'Aquino, o da Grozio, solo che adesso sono uno scandalo perché la sopraffazione è la regola.

Il Campo è un'organizzazione che agisce pacificamente e alla luce del sole. E' una questione di economia: quando si è in pochi e senza soldi, l'unico modo per difendersi è non avere segreti. E funziona. Ne sanno qualcosa i magistrati che hanno dovuto rilasciare Moreno Pasquinelli, Maria Grazia Ardizzone e Alessia Monteverdi, tre militanti del Campo, per assoluta mancanza di indizi, dopo averli inquisiti addirittura per "terrorismo internazionale" (Maria Grazia aveva sposato un turco che appartiene a un movimento che opera legalmente in Europa e gli altri due avevano fatto da testimoni alle sue nozze).

Per condurre questa inutile inchiesta, gli inquirenti avevano fatto, con i nostri soldi, la bellezza di 75.000 ore - pari a otto anni e mezzo - di intercettazioni telefoniche, pedinamenti e affini.

Per capirci: il Campo dice una cosa molto scioccante, cioè che gli iracheni invasi e occupati hanno il diritto di resistere; ma non tira i sassi alle manifestazioni, non sogna di fare la rivoluzione mercoledì prossimo alle quattro e non tratta con urli dogmatici o complottistici chiunque la pensi in modo diverso da loro.

Ora, sono due anni che questo piccolo movimento dell'estrema sinistra italiana è il bersaglio di una serie di attacchi che si possono solo definire demenziali. Sul mio sito ho messo un resconto dettagliato di quello che ho chiamato lo psicodramma nazionale; ma in breve, l'assalto lo ha cominciato nientemeno Paul Weyrich, fondatore del più grande think tank della destra americana.

L'esempio di Weyrich è stato imitato da Fulvio Grimaldi, che si è rivolto a Magdi Allam, (meglio noto come il Pinocchio d'Egitto per la maniera in cui costruisce le sue inchieste); hanno preso poi la palla Edward Luttwak, lo stesso Carlo Taormina, Bruno Vespa, Paolo Mieli, il Foglio di Giuliano Ferrara, la BBC, Bertinotti, Massimo "Abdul Hadi" Palazzi (Gran Cancelliere dell'Ordine e Gran Precettore per la lingua italiana del Supremo Ordine Salomonico del Shekal), la CBS, Libero, il Giornale, L’Opinione, la Nazione, il Riformista, Zona Rossa di Marco Taradash e infine Lucio Malan di Forza Italia, che ha chiesto la bellezza di quindici anni di carcere per i membri del Campo Antimperialista.

Mai vista un'orgia del genere, che mi ha almeno rivelato che alcune delle persone più potenti del nostro paese non sono solo cattivi e bugiardi, ma anche al limite della follia: in tutti gli attacchi, c'era sempre lo stesso stile grottesco che abbiamo visto nel caso del povero Preite. Solo che un conto è sparare a caso dalle cannoniere di un quotidiano, un altro è andare da un magistrato.

Perché il magistrato avrà fatto un piccolo ragionamento. Si sarà chiesto - Moreno Pasquinelli, un signore uscito da non molto dal carcere e che di mestiere fa il cuoco, con quale diritto dà ordini all'esercito degli Stati Uniti d'America?

Infatti, Taormina prima di lanciarsi a testa bassa in questa impresa, avrebbe dovuto consultare Google. Dove avrebbe scoperto che non furono gli iracheni a sparare a Giuliana Sgrena. Ma gli americani.

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E' proprio vero che la storia si ripete

Post originale tratto dal blog Kelebek di martedì, 05 aprile 2005
"Lo storico, il quale in avvenire vorrà ricostruire questo torbido periodo della nostra vita nazionale, dovrà giudicare che la cultura italiana nel primo decennio del secolo XX doveva essere caduta assai in basso, se fu possibile ai grandi giornali quotidiani e a giornalisti, che pur andavano per la maggiore, far credere all'intero paese tutte le grossolane sciocchezze, con cui l'impresa libica è stata giustificata e provocata.

Non esistevano, dunque, in Italia studiosi seri e coscienziosi? Che cosa facevano gli insegnanti universitari di geografia, di storia, di letterature classiche, di diritto internazionale, di cose orientali? Credettero anch'essi alle frottole dei giornali?

E se non ci credettero, perché lasciarono che il paese fosse ingannato? Oppure considerarono la faccenda come del tutto indifferente per la loro olimpica serenità?

La risposta a queste domande non potrà essere molto lusinghiera per la nostra generazione."


Gaetano Salvemini e altri, "Come siamo andati in Libia," La Voce, Firenze 1914, p. X.

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Resistenza irachena

Post originale tratto dal blog Kelebek di martedì, 05 aprile 2005


Il 16 marzo, ho avuto il piacere di intervistare Sammi Alaà, per conto dei Comitati Iraq Libero.

Sammi è iracheno, dottorando in sociologia, laico, di famiglia sciita, e membro dell’Alleanza Patriottica Irachena; ed è anche una persona lucida, ironica e con un'ottima capacità di comunicare.

Riporto qui l'intervista, che credo possa essere di un certo interesse per chi guarda il mondo, e non solo l'orticello sotto casa.

D. Puoi dirci qualcosa della situazione della Resistenza in Iraq dopo le elezioni del 30 gennaio?

R. Non è cambiato in realtà molto: i politici collaborazionisti sono gli stessi che hanno partecipato a tutti i precedenti tentativi, falliti, di istituire un governo marionetta. Nessuno si illude: il governo che sarà costituito avrà come unico scopo quello di firmare accordi che concedano tutto il petrolio iracheno a ditte americane e di legittimare la presenza di basi militari americane che garantiscano che gli iracheni mantengano tali accordi.

Nella Resistenza, c’è un clima di sorprendente ottimismo. Al contrario di me, gli esponenti della Resistenza sono convinti che la vittoria è vicina. Non si tratta però semplicemente di autoconvincimento: i resistenti fondano il loro ottimismo su tutta una serie di segnali, che vanno dal progressivo ritiro degli alleati degli USA dall’Iraq, al fatto che gli Stati Uniti starebbero allargando le proprie basi nei paesi confinanti in modo da gestire meglio la ritirata. È emerso ad esempio che gli Stati Uniti hanno aperto tre basi in Giordania, paese in cui non hanno ufficialmente una presenza militare, e che la base di Incirlik in Turchia è stata attrezzata per accogliere il ritiro di personale e di aerei.

D. Il quadro che ci dipingono i media italiani è molto diverso. Da una parte, ci dicono, ci sono i curdi schierati con gli americani, dall’altra gli sciiti che sosterrebbero in massa il nuovo governo; rimarrebbe solo un’isola di guerriglia sunnita, in mano a fanatici religiosi.

R. Innanzitutto, gli iracheni non si riconoscono in queste confuse definizioni in cui etnia (“curdi”) e religione (“sciiti e sunniti”) si sovrappongono. Personalmente, sono arabo di famiglia sciita, ma mi sento iracheno. È vero che gli americani hanno distrutto non solo il partito Baath, ma l’intera infrastruttura sociale e politica del paese, e questo ha portato molto persone a cercare un’opportunità di agire attraverso altri canali, in particolare quelli religiosi.

Ma lo sciismo è un fenomeno tutt’altro che unitario: c’è una corrente puramente religiosa, un’altra politica che fa capo ad al-Sistani e all’Iran e una terza corrente, araba, che fa capo a Moqtada al-Sadr.

La scorsa estate, il movimento di Moqtada al-Sadr ha subito attacchi violenti da parte degli americani, seguiti da una serie di omicidi, di cui sono state vittime anche gli esponenti sunniti del Consiglio degli Ulema Musulmani. Al-Sadr ha boicottato le elezioni, ma ha mantenuto un basso profilo; il partito di Allawi ha candidato un certo Hussein al-Sadr, spacciandolo falsamente per un parente di Moqtada, e questo fatto ha ingannato la stampa occidentale.

La resistenza è presente in tutto l’Iraq; è però vero che la maggior parte degli scontri avvengono nella zona di Fallujah e Ramadi. Che non sono comunque puramente sunnite: molti villaggi attorno a Fallujah sono sciiti. Il vero motivo è che si tratta della zona occupata dagli americani. A sud, italiani, inglesi, giapponesi e altri hanno posto i propri accampamenti lontano dalle zone abitate; allo stesso modo, gli americani evitano adesso di mettere piede a Sadr City, perché sanno che se dovessero provocare gli sciiti, la resistenza vincerebbe subito.

Proprio per questo, da quando è comparso sulla scena Negroponte, si susseguono misteriosi attacchi contro gli sciiti, nella speranza di provocarli contro i sunniti e permettere agli americani di dominare su entrambi.

D. Qual è il futuro politico della Resistenza?

R. E’ la prima volta nella storia che una resistenza opera con tutto il mondo contro. Gli Stati arabi circostanti ne hanno paura, mentre la Resistenza viene demonizzata in Occidente. Non si può costruire un governo in esilio da nessuna parte, e la mancanza di una direzione politica è il problema principale della Resistenza.

Alcune settimane fa, però, si sono riuniti i dirigenti di molti movimenti di ogni tendenza politica e origine etnica e religiosa, che si oppongono all’occupazione; ne fanno parte nazionalisti, il clero sunnita e Moqtada al-Sadr. L’Alleanza Patriottica Irachena aderisce a un fronte di associazioni, che a sua volta partecipa a questa iniziativa.

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Ultime volontà

Post originale tratto dal blog Kelebek di domenica, 3 aprile 2005


Ieri l'allucinante spettacolo ha avuto una breve pausa: su Rete 4 ho intravisto anche qualche spezzone di film normale, senza né Wojtyla illuminato artisticamente contro le nuvole, né attori americani travestiti da arabi che fanno finta di essere antichi ebrei per trasformare episodi della Bibbia in edificanti raccontini per la media borghesia dei nostri tempi.

I gestori del più grande spettacolo funebre di tutti i tempi evidentemente capiscono quando lo spettatore medio non ce la fa più e vuole cambiare emozione e/o canale (che poi sono sostanzialmente sinonimi).

Alle 22 e qualcosa, però lo spettacolo ritorna in pieno. Entro pochi secondi, Fini, Veltroni, Rutelli e altri hanno già mandato i loro comunicati, certamente pronti da tempo; una delle oche più oche che io abbia mai visto annuncia che il Presidente Ciampi parlerà in diretta. E lo segue George Bush.

Adesso una domanda. Qualcuno mi ha accusato di cinismo, e capisco perfettamente perché: non partecipo allo spettacolo, lo guardo da fuori. Ma forse qualcun altro merita davvero questa accusa.

I media e i politici ci presentano Karol Wojtyla semplicemente come il più grande uomo mai vissuto. Il più saggio. E tutti i politici si vantano di averlo potuto incontrare almeno una volta nella vita.

Karol Wojtyla ha quasi sempre tritato fumo e banalità nei suoi discorsi, ma mi vengono in mente alcune cose molto precise che ha chiesto a questi stessi politici, mentre era ancora in vita.

Ve ne cito alcune (se ai lettori ne dovessero venire in mente altre, le inserirò qui):

- fermare l'aborto

- fermare la pena di morte

- non fare la guerra contro l'Iraq

- fare un'amnistia per i detenuti

Non sto tirando l'acqua verso alcun mulino: ci metto (per dirla in modo tremendamente superficiale) tanto una richiesta di "destra" come quella sull'aborto, quanto una di "sinistra" come quella sulla guerra.

Ora, quante di queste richieste sono state esaudite?

A me, ovviamente, Karol Wojtyla non ha chiesto nulla, io non gli ho promesso nulla e non mi vanto di avergli stretto la mano. Questi uomini invece sì.

E questo per me è il vero cinismo.

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Lo spettacolo del Calvario

Post originale tratto dal blog Kelebek di venerdì, 1 aprile 2005

I muscoli dei malati di Parkinson - ci spiega un medico fissando le telecamere - non riescono a trattenere l'urina.

Scompare la faccia dell'esperto di liquidi corporali, compare l'immagine di un sondino nastro-gastrico. Il sondino se ne sta ricurvo, felice serpente di plastica, sopra un elegante drappo scuro: il suo luogo di nascita è chiaramente un depliant pubblicitario, di quelli che un vivace informatore scientifico presenta ai suoi clienti assieme a un invito a un convegno da svolgersi a Rio de Janeiro o a Bangkok.

Va in scena così, su scala planetaria, l'ultimo atto della grande telerecita wojtyliana, intitolato "il Calvario del Santo Padre".

Ogni riflessione seria su questo tema deve prescindere dagli opposti estremismi: da una parte coloro che ti accusano di aver offeso i sentimenti dei credenti (un argomento che trovo privo di qualunque valore logico); dall'altra, la piccola ma attiva schiera di quelli che odiano a tal punto la religione da non capire affatto cosa sia.

Voglio fregarmene di entrambi e riflettere invece su alcune cose.

Storicamente e simbolicamente, il papato è stato una funzione. Nell'immaginario cattolico, un "umile servo del Signore" assumeva per un breve istante il ruolo terreno del Vicario di Cristo. Un ruolo talmente astratto che il suo provvisorio portatore doveva anche cambiare nome. L'astrazione è garantita dalla distanza, e anche da gesti, pratiche e oggetti: tra cui i curiosi flabelli, lunghissimi ventagli di piuma.

Il Pontefice è in sé anonimo; ma questo anonimato comporta la negazione dell'identità sessuale maschile. Il prete, e ancora di più il Papa, non è un uomo, in tutti i sensi.

La sua autorità è pervasiva e sottile, in quanto non minaccia l'autorità maschile di nessun altro; ma proprio allontanandosi dalla generazione della vita, sfugge in qualche modo alla morte. I Pii, i Leoni e i Giovanni si susseguono distinti appena da numerini romani.

Sento spesso dire, "sono laico, ma concordo con i credenti che Karol Wojtyla è un grande uomo".

È una sciocchezza perché moltissimi blogger dicono cose più intelligenti di quelle che ha detto Karol Wojtyla. I media possono parlare della sua "grande saggezza", ma - come si dice - carta canta, e canta con una piattezza e una banalità sconvolgenti.

Anzi, sono tentato a credere che Wojtyla dica cose più stupide di quelle che pensa, perché ogni parola che pronuncia è calibrata per essere accettabile a chiunque su questo rissoso pianeta: il comune denominatore tra noi tutti è il nulla, ed è proprio questo che Wojtyla sa esprimere con grande maestria.

Non credo che Wojtyla abbia "abbattuto la Cortina di Ferro", o "portato la Chiesa nel terzo millennio", o "riportato la Chiesa nel Medioevo". Quello che è successo alla Chiesa in questi anni è dipeso da molte cose oltre alla volontà di Wojtyla. E comunque sono anni che Wojtyla non è in grado di prendere decisioni anche elementari. Organizzazioni come l'Opus Dei, l'Acton Institute o Comunione e Liberazione o i Legionari di Cristo hanno dinamiche proprie.

Quello che Karol Wojtyla ha saputo fare invece è recitare l'incarnazione del dramma umano in simbiosi con i media: lui si fa fotografare con la mano sotto il mento, il commentatore televisivo abbassa la voce e dice, "ammiriamo insieme la sua profonda sapienza". Wojtyla non riesce a parlare, ergo "trasmette la sua grande serenità senza bisogno di parole".

Lo spettacolo wojtyliano s'insinua nello spazio che la Chiesa si ritagliò storicamente quando i suoi ministri si fecero eunuchi per il Regno dei Cieli: lo spazio delle vedove, dei mendicanti, dei malati. Che non è lo spazio dell'oppressione, ma lo spazio del dolore, di cui questo mondo contiene inesauribili riserve.

Il Wojtyla-show ha percorso un milione di chilometri, recitando innumerevoli variazioni sul tema del Grande Nonno che abbraccia la bambina nera malata di Aids. Non guarisce dall'Aids o dalla povertà, ma è tanto umano, e se ti permetti di dire qualcosa, sembra che tu odi le bambine nere malate di Aids. Così Wojtyla diventa la buona coscienza del mondo, o meglio la coscienza che si sente buona perché si ammira mentre apprezza i propri sensi di colpa. Si esce dal dolore con l'infantilizzazione, accantonando i conflitti nella "civiltà dell'amore", le tragedie nel suono di chitarre e canzoni che possiamo solo definire penose.

In tutto questo non c'è più traccia del tremendo psicodramma della Chiesa, che ci parla della caduta, della guerra tra Michele e Satana, del sangue di Cristo che ci redime dall'inferno, di quella forma inquietante di sacrificio insieme umano, vegetale e divino che è la Messa.

Questa gigantesca lacuna non è casuale. Infatti, mentre il ruolo storico del Papa è quello di anonimo funzionario di Gesù, Wojytla usurpa tutti i ruoli psicologici (non teologici) dello stesso Gesù, che "ci ama e ci sta vicino", che "soffre assieme a noi". Non sorprende quindi che Wojtyla sia più amato dei suoi predecessori, ma quello del "papa umano" è un ruolo che si può recitare una volta sola. Il suo successore dovrà inventare un ruolo ancora più "umano" e mediatico, o verrà profondamente disprezzato da tutti i papaboys, da tutti coloro che saltellano mentre fanno i coretti, "Gio-vanni Pao-lo! Gio-vanni Pao-lo!"

L'industria culturale corrompe e inquina tutto ciò che tocca. Qual è il senso di questo ultimo, ributtante spettacolo, dove il disastrato stomaco di Wojtyla viene divorato con la stessa cannibalistica curiosità con cui venivano diffuse le foto del Papa Sciatore?

Si tratta del prezzo che tutti gli attori dello spettacolo planetario devono pagare alla fine all'impresa criminale che li ha creati? Come Michael Jackson il telestar che diventa Michael Jackson il telepedofilo, insomma.

Oppure si tratta dell'ultima recita del fondatore del Teatro rapsodico di Cracovia?




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Bon ton d'Occidente e generalizzazioni varie

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 30 marzo 2005


Al mio lunghissimo articolo sulla Leggenda della Zingara Rapitrice, qualcuno ha risposto sfoderando il meglio del bon ton occidentalista, come il signore Paolo Bertulessi (almeno così si firma), che scrive:

Fottiti pattume e sterco straniero filoislamico

tua madre deve essere una abile pompinara di kamikaze,e tu sei frutto di un parto anale! fottiti lerciume di un pederasta comunista,tu e tua madre!


(chiedo scusa ai lettori musulmani o cattolici o semplicemente normali, comunque non intendo censurare il modo di parlare del signor Paolo Bertulessi).

Guardando su Internet, vedo che il signor Paolo Bertulessi (se non è un innocente omonimo) frequenta i forum del Partito Radicale:

SONO CON TE,INSULTIAMOLI E BASTA QUESTI INFAMI COMUNISTI E FILOISLAMICI,SGRENA E COMPAGNO PARACULO COMPRESI!

Da precisare che il signor Bertulessi sembra seguire con grande attenzione il mio sito, tanto da avermi scritto in precedenza:

chi cazzo sei per permetterti di criticare una GRANDE ITALIANA come la Dea Fallaci?Non sei degno neppure di nominarla,vai a fare il comunista a casa tua,cosa fai qua a rompere i coglioni con i tuoi sproloqui?TI senti protetto dalla infame sinistra?E'ora di pulizia qui in Italia,le zavorre come te sono inutili e pericolose!

La Forza della Ragione, insomma, fatta persona. O, se preferite, un vero Moderato.

Però ci sono anche persone, forse meno occidentali nei modi, ma con cui mi trovo più a mio agio. Ad esempio "xpisp", che scrive un lungo commento critico sul blog Pirori, fonte inesauribile di storie e informazioni sul mondo dei Rom.

Non riporto quello che scrive xpisp, andarlo a vedere può diventare una buona scusa per esplorare il blog dove compare. Vorrei rispondergli, perché anche se non è d'accordo con me, ha fatto la fatica non indifferente di leggersi tutto il mio scritto e di commentarlo punto per punto. Per colmo di correttezza, mi ha anche scritto in privato. Insomma, è decisamente una persona per bene.

Però non mi è affatto facile rispondergli. Su alcuni punti lo potrei fare (ad esempio, Mohammad Daki era l'eccezione nel processo per "terrorismo islamico", non è stato ricondannato da un altro giudice e il problema riguardava solo la sua estradizione verso un paese, il Marocco, che applica notoriamente la tortura e ha nel suo codice legale la pena di morte).

Il punto fondamentale, contro cui sbatto regolarmente la testa, è che mi sembra che "xpisp" veda una gara tra due etnie. Ora, io non faccio assolutamente parte della squadra di chi tifa Rom, se mai esiste. Un po' mi fanno sorridere le persone che mi dicono che una volta che una zingara le ha insultate mentre chiedeva l'elemosina, e mi dicono, "tu predichi bene, dici che i nomadi poverini sono tutti bravi, vuol dire che gli zingari non li hai mai visti! Poi ti renderai conto..."

Io ho parecchi problemi con Kadri, un Rom grande e grosso, con precedenti per violenza carnale, che ha giurato di farmi fuori perché gli abbiamo sottratto la moglie che lui voleva mandare a prostituirsi. Quando penso a lui, non penso al "povero nomade" (anche perché Kadri non è certo un "nomade"). Allo stesso modo, quando penso al giornalismo manipolatorio e diffamatorio di Magdi Allam, non penso che tutti gli arabi siano brava gente. E sono sicuro - dall'onestà del suo discorso - che l'italiano "xpisp" sia migliore, sia del Rom Kadri che dell'arabo Magdi Allam.

Allo stesso tempo, so che la moglie di Kadri è una persona splendida, pur avendo mille debolezze e contraddizioni e frivolezze, e che anche la famiglia di lei è un'ottima famiglia. È esattamente questa doppia constatazione di umanità, tanto nel male quanto nel bene, che non mi permette di appartenere alle squadre dei tifosi etnici.

Ma ho un'idea, da tutto questo, di come siano relative tante cose: la famiglia di lei ha valori etici rigorosissimi per quello che riguarda cose come il furto o bere l'alcol, decisamente più rigorosi e puritani dei miei; allo stesso tempo, si perde in un bicchiere d'acqua quando si tratta di chiedere un documento, o di capire come funziona una mappa, o i numeri civici di una strada. Poi magari capiscono le minime emozioni che provi e che non vuoi far vedere. Accettano di essere truffati da "cooperative" di lavoro, ma quello che li ferisce davvero è quando non gli telefoni per il compleanno del bambino.

In questo chiaramente c'è qualcosa di culturale e non solo individuale, qualcosa che è veramente Rom; e che ha a che fare con gli immensi, infiniti problemi che circondano i Rom. E che rende difficile dire, "si risolverebbe tutto, se si comportassero come cittadini normali".

Una notte, come racconto sul mio sito, un gruppo di giovani ubriachi diede fuoco alla baracca in cui dormivano i miei amici, con loro dentro; e si salvarono a stento. Ma non li ho mai sentiti generalizzare, dopo, sugli italiani.

Come loro, non intendo quindi generalizzare su niente e nessuno. Non sono d'accordo con le astrazioni, da una parte o dall'altra: le astrazioni buoniste, che dicono che la cultura non conta nulla, che dobbiamo solo ragionare come astratti "cittadini", finisce poi per scatenare il razzismo quando non tutti si comportano come "cittadini". Ma dall'altra parte, la psicosi di destra e occidentalista, carica di rancori, di disprezzo, di generalizzazioni e di leggende metropolitane, è il nulla, o il nichilismo, assoluto.

Forse è qui il punto principale in cui mi trovo d'accordo con Lia di Haramlik: dai quadri che lei dipinge dell'Egitto (ma lo stesso discorso vale per tutto il mondo) emerge sempre l'enigma di fondo della specie umana. Siamo tutti profondamente simili, eppure le nostre storie sono tutte straordinariamente diverse. Ne vengono fuori un sacco di problemi, ma tutto sommato è bello così.

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Costanzo Preve, filosofo

Post originale tratto dal blog Kelebek di martedì, 29 marzo 2005
Ho conosciuto Costanzo Preve quasi due anni fa, a una conferenza: un signore con i capelli bianchi, che faceva fatica a camminare pur avendo appena una sessantina di anni. Poi lo sentivi parlare, con la sua voce giovanile, e un'incredibile chiarezza di espressione. Soprattutto, visto il contesto politico della conferenza, colpiva l'assenza di quei riempitivi ipnotici che utilizza chi non sa assolutamente cosa dire, ma deve dare ugualmente fiato alla voce. Espressioni, per intenderci, come "una convergenza di soggettività che sappia essere insieme protagonista ed espressione di ampie esigenze."

Costanzo Preve è uno dei massimi esperti in Italia di filosofia marxista, un argomento che cominciò a studiare una quarantina di anni fa nella Parigi di Althusser e Sartre. Nonostante il suo impegno nella sinistra, ha sempre evitato di far parte di congreghe di micropotere, e ha scelto un mestiere ingrato ma che non obbliga a compromessi di alcun tipo: il professore di filosofia in un liceo.

Costanzo Preve non è solo un esperto conoscitore della filosofia; a modo suo, è un filosofo, un Socrate illuminista che guarda il mondo con apertura mentale e disponibilità ad ascoltare, sa comunicare in modo sempre chiaro e rispetta profondamente le persone; non solo nella maniera in cui scrive, ma anche nei rapporti personali. E credo che sia dovuto alle sue origini cosmopolite e alla sua profonda conoscenza del mondo ottomano e greco.

Il suo è un marxismo umanista, che ha molto più a che vedere con la curiosità con cui Marx cercava di guardare dietro le quinte della realtà, che con le religioni politiche che sono state costruite in suo nome.

Apertura mentale, disponibilità ad ascoltare, chiarezza e rispetto sono caratteristiche quasi inesistenti nel mondo dell'estremismo politico, e tra Costanzo Preve e gran parte della sinistra-sicura-di-sé non corre buon sangue.

Preve si rifiuta di far l'apologeta di un caldo "popolo di sinistra", emotivamente legato alla propria identità: un'identità che maledice i traditori, che perdona i leader perché sono pur sempre dei nostri e che demonizza i nemici. Per questo, Preve è sempre disposto a scrivere per chiunque e ovunque, anche fuori dalla "sinistra", purché non si censuri o manipoli quello che dice; e questo non fa che aumentare la diffidenza nei suoi confronti. L'Estremista Rancoroso e Paranoico è un tipo umano assolutamente trasversale: se a destra troviamo un Mario Borghezio e tra i liberali un'Oriana Fallaci, esiste anche a sinistra chi inveisce con psicotico furore contro Costanzo Preve.

Costanzo Preve chiaramente non dà fastidio perché "è importante", la consolazione normale dei perseguitati. Molto più semplicemente, credo che dia fastidio - a sinistra - perché sembra caratterialmente un liberale dell'Ottocento. Ma non ha nulla a che fare con il liberalismo di oggi.

I liberali di oggi sono i Paolo Guzzanti e Giuliano Ferrara, quelli che si sono stufati dei limiti indubbi della sinistra, traendone la conclusione che sfruttamento e guerra sono cose belle.

Preve ha sofferto come loro il dogmatismo della sinistra reale, ma proprio perché, al contrario dei Guzzanti e dei Ferrara, rifiuta di spiegarsi la realtà in termini emotivi e identitari e considera che il capitalismo e l'imperialismo (e non l'antipatico Tizio o l'insopportabile Caio) sono le piaghe del mondo. E in questo cercare le cause delle cose, è certamente più marxiano di tanti più ortodossi di lui.

Preve ha scritto una quantità notevole di articoli per rivistine assolutamente sconosciute, che rischiano di scomparire in polverosi archivi privati. Per questo, e vista la totale incompatibilità tra Preve e ogni forma di macchina, figuriamoci se elettronica, ho deciso di mettere in rete tutti i suoi articoli che sono riuscito a procurarmi (se ne avete altri, mandatemeli, per favore!).

In questi giorni, ho messo sul sito Kelebek una parte di una specie di enciclopedia del pensiero marxista che ha scritto a puntate per la rivista Praxis. Ci troverete elementi ricorrenti: anni di aule scolastiche hanno portato Preve a ritenere che ribadire giova. In particolare in una materia non semplice, come la filosofia.

Si accede a tutti gli articoli dalla pagina dedicata proprio ai saggi di Preve.

I saggi messi ieri in rete sono:

Invito ad una discussione radicale sul marxismo
Nichilismo, individuo, universalismo reale
Il maoismo
Note critiche sul bordighismo
Proposta di interpretazione, metodologia e periodizzazione per la storia della filosofia marxista
Per un bilancio categoriale marxista della storia del comunismo storico novecentesco
Dalla Rivoluzione alla Disobbedienza
Il testamento filosofico di Lukács
Ludovico Geymonat
La storia di Lucio Colletti
Nazione italiana, Europa, Mediterraneo
Esistenzialismo e marxismo
L'eredità intellettuale di Louis Althusser
Note critiche sul trotzkismo

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Zingari heavy metal e link errati

Post originale tratto dal blog Kelebek di lunedì, 28 marzo 2005


Ho appena finito di mettere sul sito Kelebek tutto quello che non ci potrebbe mai stare su un blog. Una fatica non da poco, visto che si tratta di decine e decine di pagine, tutte linkate tra di loro e con altre pagine del sito, potenzialmente piene quindi di link errati ed errori di ogni genere - se ne notate, vi prego di segnalarmeli.

L'articolo principale - La Leggenda della Zingara Rapitrice - è un'analisi e un commento su un fatto che ha eccitato parecchio gli animi, il presunto rapimento di una bambina a Lecco, da parte di due romnijà o "zingare". Riflessioni sulla cultura Rom e su quella italiana, sull'interazione tra arcaici timori e moderni interessi politici, su come i media ci presentano il mondo, e parecchio altro: il primo che mi dice che ho toccato troppi argomenti, gli do ragione.

Se vi interessa l'argomento, potete leggere anche un mio vecchio scritto su come ho incontrato i Rom o "zingari", ai tempi delle bombe umanitarie sul Kosovo.

Di mio ho messo su anche una recensione al libro, politicamente scorrettissimo, Seppellisci il mio cuore alla radura dei cervi, dell'amica Piera Graffer.

Ho messo in rete anche diversi articoli non miei, introdotti però da commenti miei più o meno lunghi.

La CIA rapisce in pieno giorno a Milano, Hiroshima, Italia: le nostre armi di distruzione di massa e Da idraulico a Torino a prigioniero a Guantánamo presenta tre notizie terrificanti, che riguardano direttamente il paese in cui viviamo.

Seguono due articoli che riguardano il tema dei cristianisti, cioè quel mondo cattolico che ritiene che Gesù fosse un imprenditore americano attivo nell'industria degli armamenti. La deriva neoconservatrice della destra cattolica e Gianni Baget Bozzo, l'Americano sono i primi segni di una reazione in ambiente cattolico a questa corrente. La mia visione e quella degli autori sono assai distanti, ma si tratta di testi ben scritti e ben ragionati.

Su un piano più leggero, abbiamo "We Are Fungito!" A caccia di Illuminati con Dan Brown, un giro nei bassifondi della cultura contemporanea (di Elisabetta Vernier) e un articolo scritto appositamente per questo sito, Iron Maiden e libertà di pensiero, una replica alle accuse di satanismo rivolte alla musica heavy metal, di Devid "Raziel" Penguti.

Quindi dai Rom al heavy metal, passando per le bombe atomiche. Ma non solo: ci sono gli articoli di Costanzo Preve. Però quelli meritano un post a parte.

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Il potere di definizione

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 23 marzo 2005

Chi definisce le parole, definisce il mondo. Eccone un esempio che ci riguarda tutti.

Nel nostro pianeta ormai surrealmente controllato e sorvegliato, c'è un fatto clamorosamente fuori controllo.

Da due anni, il più grande, potente e meglio armato esercito della storia cerca di sottomettere un piccolo angolo del Medio Oriente, e non ci riesce.

Due anni sono tanti: sono qualche mese in più di quanto sia durata l'ultima guerra sul suolo italiano, che pure ha segnato in maniera irreversibile questo paese.

Gli iracheni si oppongono senza alleati e senza nemmeno potersi dare una seria organizzazione politica - se nascesse in Italia, ad esempio, un "governo della resistenza irachena in esilio", cinque minuti dopo sarebbero tutti in galera. L'assenza di un referente permette ai media di dare il ruolo centrale a una personalità praticamente sconosciuta in Iraq, al-Zarqawi, o di dire che tutto avviene solo in un presunto "triangolo sunnita" (dove in realtà ci sono anche molti villaggi a maggioranza sciita).

Ma alcune settimane fa, laici, comunisti patriottici, il cosiddetto "clero" sunnita e la parte politicizzata del movimento sciita si sono riuniti per formare una sorta di coordinamento a sostegno della lotta di liberazione. Sarà più difficile adesso parlare di "fanatici sgozzatori", anche se continueranno ovviamente a farlo lo stesso.

Ma la guerra non avviene solo quando saltano per aria i giganteschi carri armati americani. Avviene anche qui, attraverso le parole che la definiscono.

Chi combatte un invasore fa resistenza. E' una definizione scientifica, che non indica alcun giudizio morale. La Repubblica Romana nel Risorgimento fece resistenza contro le truppe che volevano restaurare il Papa, e il Papa fece resistenza contro l'esercito dei Savoia che assediò Roma vent'anni dopo. Gli iracheni stessi parlano normalmente di muqâwama, che vuol dire proprio resistenza. Ma niente da fare; come ha imparato Lilli Gruber, se chiami la resistenza "resistenza", ti rispediscono a casa. La resistenza, evidentemente, deve essere solo quella cosa che Ciampi fa con grosse corone di fiori ogni 25 aprile.

Poi c'è il termine "terrorismo". E' chiaramente un insulto, e anche un insulto abbastanza infantile. Ma è anche errato come significato, perché non indica una causa, bensì un metodo. Sarebbe come dire sempre "bombardatori" invece di "americani".

Però c'è un terzo modo di chiamare i resistenti iracheni: insurgents, cioè "insorti, ribelli". Questo termine ha un illustre precedente.

Dopo la cosiddetta scoperta dell'America, il re di Spagna era solito concedere ad ambiziosi imprenditori dell'epoca un adelantado, cioè il permesso di raccogliere alcuni avventurieri e conquistarsi un pezzo delle nuove terre, in cambio della concessione alle casse reali di un quinto del bottino.

Ma l'adelantado si basava sul Trattato di Tordesillas, quando il Papa spaccò in due un continente tutto da esplorare, dividendolo tra portoghesi e spagnoli. Da quel momento in poi, i conquistadores, ogni volta che incontravano un nuovo popolo, dovevano semplicemente informarlo che era già, a sua insaputa, un "suddito e vassallo" del re di Spagna.

E così si rovesciava brillantemente la realtà. La resistenza all'invasione si trasformava in una rottura violenta e illegale della pace coloniale; un atto di tradimento, quindi, che andava punito come tale e che permetteva inoltre - assai comodamente - di ridurre gli insorti in schiavitù.

Nel 1542, gli spagnoli fondarono la città di Mérida, nello Yucatán: fondare una città - un'azione che consisteva in genere nel leggere ad alta voce un documento in spagnolo a un pubblico misto di invasori, indigeni e pappagalli - significava giuridicamente dire che era arrivata la pace. E così, da quel momento in poi, chiunque resistesse diventava un "ribelle", passibile di impiccagione o di riduzione in schiavitù.

La resistenza, che proseguì ovviamente a prescindere dal rituale di fondazione di Mérida, viene ancora oggi chiamata "la grande rivolta Maya" dagli storici.

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L'immortalità del palazzinaro (II)

Post originale tratto dal blog Kelebek di lunedì, 21 marzo 2005


Di nuovo su Mel Sembler, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia e responsabile quindi di sorvegliare il nostro coinvolgimento nella Guerra infinita.

Prima di tutto una buona notizia: il 18 gennaio, la popolare trasmissione TV Montel Willam Show ha trasmesso un pezzo critico sulle discusse comunità terapeutiche create da Mel Sembler; poche ore dopo, Mel ha annunciato la sua intenzione di dimettersi da ambasciatore e tornare negli Stati Uniti. Le dimissioni, per ora, non sono state messe in atto.

Secondo, è stato accertato il costo che i contribuenti USA hanno dovuto pagare per il Palazzo Mel Sembler: 83 milioni per l'acquisto, e 30 milioni per il restauro. Le cifre sono state stanziate in base a una mozione presentate al Congresso da C.W. "Bill" Young, rappresentante guarda caso del distretto elettorale in cui vive Mel Sembler.

Mel Sembler ha ringraziato Young in modo caratteristico: all'inaugurazione del palazzo dedicato a lui, Sembler ha controdedicato a Young il salone in cui si svolgeva la cerimonia, che adesso si chiama ufficialmente il "C.W. Bill Young Conference Center".



Young e Sembler si fanno dedica e controdedica


Non è la prima volta che Sembler ci prova. Già Jeb Bush, fratello dell'attuale presidente degli USA e governatore della Florida - noto soprattutto per i brogli del 2000 - aveva fatto celebrare ufficialmente in tutto lo stato una giornata dedicata alla moglie di Mel, Betty Sembler. Ma pare che quattordici anni fa, Mel abbia provato a far erigere un monumento a se stesso anche nella città di Saint Petersburg, Florida, sotto forma di un Ambassadorial Pavilion dedicato a lui (allora ambasciatore in Australia) e a un suo amico miliardario, ambasciatore in Spagna. Il progetto fallì per l'opposizione del principale quotidiano della città.

Ma il fatto più notevole è che si tratta della prima volta nella storia che a un palazzo si mette il nome di un ambasciatore americano vivente: per questo ci è voluto un atto speciale del congresso degli Stati Uniti.

Davvero notevole quindi la faccia tosta dell'onorevole Young, nel suo discorso durante l'inaugurazione del monumento/mausoleo:

"Ho parlato con il presidente Bush appena qualche giorno fa e gli ho detto che sarei venuto qui per stare con te, e gli ho raccontato quello che avremmo fatto oggi.

Bush lo ha trovato insolito. E mi ha detto, 'Noi non facciamo queste cose, vero? Non intitoliamo gli edifici agli ambasciatori nei luoghi in cui hanno svolto il loro servizio'.

E io gli ho risposto, 'signor Presidente, io ho presentato la legge e lei l'ha firmata'".

Le immagini del palazzone e della cerimonia di dedica si possono vedere sul sito dell'Ambasciata USA in Italia.

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Di Xoloitzcuintli, imperi e squinzie

Post originale tratto dal blog Kelebek di domenica, 20 marzo 2005
Di tutti i cani, i più inquietanti sono il Perro Algofifa e lo Xoloitzcuintli.

Algofifa è un termine che non troverete sui dizionari: si dice in alcune parti del sud della Spagna per indicare una sorta di mocio, adoperato per pulire il pavimento. Il termine è di chiara derivazione araba, ma non è facile capire da quale parola provenga - forse da al-khafîfa, "la leggera"? Infatti, esiste la variante aljofifa, che ha una pronuncia molto simile alla parola araba.

Il cane algofifa, o meglio perro algofifa, è quindi un cane mocio, con tentacoli di pelo che scivolano in ogni direzione. Il perro algofifa non possiede un verso definito: nulla distingue, ad esempio, la zampa dalla coda o dal muso. È, insomma invariante per rotazione e probabilmente anche per traslazione: su una superficie piana, il perro algofifa può muoversi in qualunque direzione, senza bisogno di girarsi.

Lo Xoloitzcuintli è il contrario del perro algofifa, come il Nuovo Mondo era il contrario del Vecchio Mondo. Se il Perro Algofifa cova i suoi segreti pensieri ben nascosto in una foresta lanosa, lo Xoloitzcuintli è esposto a tutti gli sguardi, e questo influisce notevolmente sul suo carattere, rendendolo uno dei più tremebondi e timorosi degli esseri.

Il termine xoloitzcuintli viene usato nella lingua Nahua, l'antica (e tuttora vivente) lingua del Messico centrale e dell'impero azteco. La "x" deve essere letta come veniva letta in spagnolo ai tempi dei Conquistadores, cioè come la "sc" in "scirocco". E poiché i messicani sono rilassati di carattere, lo Xoloitzcuintli degli aztechi è diventato un più lieve Xoloescuintle nel parlare contemporaneo.

Luís Cabrera, un signore di Zacatlán nello stato di Puebla vissuto nel tardo Ottocento, di cui sappiamo che era figlio del panettiere del villaggio e uomo di straordinaria cultura, ha scritto un Diccionario de Aztequismos (Colofón, México, quinta edizione 2002). Alla voce Xoloescuintle ci presenta questo inquietante quadro:

"Una specie estinta di piccolo cane, quasi senza pelo sul corpo, dalla pelle rugosa, color cenere, macchiato di nero (Canis mexicanus; canis caribacus). Probabile antenato del cane chihuahua. Etimologia: cane rugoso; da xolóchtic, rugoso, e ixcuintli, cane."

Nino Filastò nel suo romanzo, Incubo di signora, definisce il "cane nudo messicano" semplicemente "un incubo". Se lo Xoloitzcuintli è un cane nudo messicano, il perro algofifa è evidentemente un cane vestito spagnolo, rispecchiando perfettamente i costumi dei conquistatori e dei conquistati.

Lo Xoloitzcuintli svolge un ruolo cruciale nel romanzo di Filastò. Esso sarebbe stato introdotto in Europa solo nel Seicento, e quindi permette di scoprire che un quadro in cui compare, attribuito al Cinquecento, sarebbe un falso moderno. Ma Filastò sostiene anche che lo Xoloitzcuintli girerebbe ancora tra di noi, posando appunto per falsari dei nostri tempi.

Rémi Siméon, un francese che accompagnò come studioso la sfortunata spedizione di Massimiliano in Messico, nel suo Diccionario de la lengua Náhuatl o mexicana, ci offre un'etimologia diversa - da xolotl, le piume di un tipo di pappagallo chiamato toznene: lo Xoloitzcuintli sarebbe quindi non solo calvo, ma anche piumato. Tutti comunque concordano che non deriva da Xolotl, il personaggio mitologico che per sfuggire alla morte, scelse di trasformarsi prima una pianta di maguey e poi in un axolotl, un anfibio ancora più inquietante dello Xoloitzcuintli.

Siméon cita Fray Bernardo de Sahagún per fornirci un ulteriore, bizzarro dettaglio: lo Xoloitzcuintli sarebbe una "specie di lupo o di cane completamente calvo, che gli indios coprivano con un panno per proteggerlo dal freddo della notte".

Non certamente per altruismo, visto che lo Xoloitzcuintli veniva ingrassato (e coperto con panni) per scopi alimentari. Non sono al corrente di ricette, ma presumo che fossero piccanti.

L'itzcuintli (ixcuintli sarebbe più corretto), cioè il cane, ci porta per analogia all'escuincle o escuintle, che nell'Ottocento indicava il ragazzo di strada; insomma, il cane che non veniva ricoperto di panni, ma propro per questo riusciva - in linea di massima - a evitare di essere mangiato.

Poiché il termine indica oggi giovani in generale, e quindi anche ragazze, qualcuno (cioè io, ma avrei preferito far ricadere la responsabilità su altri restando nel vago) ipotizza che potrebbe avere a che fare con il bizzarro termine neomilanese, squinzia, per indicare una giovane, presumibilmente con precise caratteristiche consumistiche e consumibili.

Innumerevoli bande di giovani barbari milanesi sono calate a Puerto Escondido o a Cancún (due località in provincia di Rimini, nei pressi di Sharm al-Sheikh). In genere parlano solo loro, comunque è possibile che uno di questi individui si sia tolto il walkman il tempo necessario per cogliere l'espressione, e grazie al suo carisma personale sia riuscito a imporre squinzia con la stessa forza e ricchezza culturale con cui minchia è entrata nel neodialetto meneghino. Ovviamente squinzia potrebbe avere tutt'altra origine, escluderei solo quella atlantidea.

Passaggi di questo tipo sono sempre possibili. Prendiamo il caso di ch'avò, il termine fondamentale della lingua e della cultura dei Rom o "zingari". Significa infatti, "bambino", e chi non è rom o romnì, cioè uomo (magari sedicenne) o donna (magari tredicenne) regolarmente sposato/a, o è ch'avò o non è. Essendo quella Rom una cultura in cui la più alta organizzazione è la famiglia, i bambini assumono un valore più elevato che altrove.

Affamati, ammalati, annegati, ammazzati, amati, sono una specie di superbambini, o di bambini archetipici. E siccome noi che non siamo Rom guardiamo i Rom con un misto di orrore, fascino e paura, siamo quasi costretti a riflettere su questi bambini, che per noi sono insieme i "nostri figli che ci sono stati rapiti", "piccoli schiavi" e future minacce alla nostra sicurezza.

Ma c'è anche dell'altro, e la cultura ispanica ha saputo convivere con i Rom in maniera diversa. Infatti il termine ch'avò, pur perdendo l'aspirazione e cambiando l'accento, entra inequivocabilmente nella parlata messicana, come chavo e come chava, che significa all'incirca, "giovane", "ragazzo".

Più inaspettatamente, entra anche nell'inglese, seppure un po' più umilmente, sotto forma di shaver, un modo ormai desueto di dire la stessa cosa.

Una nota importante: con questo post, il perro algofifa, una specie esistita finora solo in forma orale, entra nel mondo del linguaggio scritto.

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