domenica, ottobre 28, 2007

"Se sembrate un po' stranieri..."

Post originale tratto dal blog Kelebek di venerdì, 29 luglio 2005
Chi va a Londra questi giorni potrà vedere in metropolitana questi cartelli:

"AVVISO A TUTTI I PASSEGGERI.
Si prega di non correre sulle piattaforme.
Sopratutto se portate uno zaino, indossate un cappotto o sembrate un po' stranieri.
Questo avviso è per la vostra sicurezza.
Grazie."

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"Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri..."

Post originale tratto dal blog Kelebek di giovedì, 28 luglio 2005
Sto leggendo un libro curioso. Il titolo è Vedo Satana cadere come la folgore, e l'autore è René Girard.

Girard si è concentrato sul meccanismo mimetico: cioè sulla maniera in cui gli esseri umani si imitano profondamente, anche nei desideri. Proprio per questo entrano ferocemente in conflitto, finché tutta la società non trova un modo meno problematico di imitarsi a vicenda, trovando un capro espiatorio su cui sfogare la violenza collettiva.

Qui però voglio parlare solo di un punto della sua tesi, perché ci tocca molto da vicino.

Esiste una stranissima contraddizione nei nostri tempi.

Perché si condanna il nazismo?

Forse perché Hitler ha costruito le autostrade, o perché il suo movimento usava il simbolo indiano della svastica?

Presumo di no.

Credo che si possa riassumere i motivi di una condanna ragionata del nazismo in alcuni punti fondamentali.

Il nazismo non era solo "dittatura", ma un certo tipo di dittatura: una coalizione tra grandi imprese, il mondo militare e lo stato.

Questa coalizione mirava a creare un impero che assicurasse alla Germania il controllo delle risorse indispensabili per mantenere uno stile di vita da paese avanzato. Insomma, Hitler voleva fare in quindici anni ciò che l'Inghilterra aveva fatto in trecento e gli Stati Uniti in un secolo e mezzo.

Il consenso per questo impero veniva ottenuto sfruttando un sentimento diffuso: l'autoesaltazione occidentale, a discapito del resto dell'umanità. Hitler diceva che solo gli "ariani", cioè gli "occidentali" (ricordiamo che il termine non significa affatto solo i "tedeschi"), avevano creato l'unica civiltà vera e dinamica; e che i più dinamici e civili di tutti erano i tedeschi, gli inglesi e gli americani.

Per realizzare questo impero, il nazismo ha condotto una serie di guerre e di occupazioni militari, sfruttando ogni possibile conflitto tra i popoli dominati per creare collaborazionisti locali.

L'occidentalismo, l'imperialismo e il meccanismo economico del nazismo hanno portato alla divisione dell'umanità in due categorie fondamentali: i nostri e vari gradi di mezzi uomini, a diritto variabile, secondo la loro utilità economica.

Una spiegazione dei conflitti mondiali e della storia che faceva ricadere tutte le colpe su una specifica comunità etnico-religiosa, in questo caso gli ebrei, visto che all'epoca erano l'unica minoranza veramente diversa in Europa.

Gli ebrei venivano accusati - in base a episodi di cronaca e a citazioni fuori contesto dai loro stessi testi sacri - di voler conquistare il mondo nel sangue e nella violenza, in nome di una cultura orientale, teocratica, statica e profondamente aliena alla civiltà occidentale. Per realizzare la conquista del mondo, prevista nei loro libri sacri, manovravano i primitivi popoli d'Oriente, le orde slave, i barbari che premevano sulle frontiere dell'Occidente.

Per difendersi dal pericolo giudaico-slavo-comunista, che minacciava di estinguere la civiltà occidentale, occorrevano misure repressive straordinarie e la sorveglianza, l'isolamento e infine l'espulsione dal consesso umano degli ebrei, portatori di questo pericolo.

Dovrebbe essere abbastanza evidente che la storia si sta ripetendo. Non amo usare il termine "nazismo" come insulto generico, sto parlando con distacco proprio dei meccanismi di fondo del nazismo.

Certo, l'impero è un altro, come lo sono i suoi capri espiatori; e ai tempi del ceto medio generalizzato e televisivo, il linguaggio è molto più morbido. Soprattutto, al posto di un unico, fragile partito, ce ne sono ovunque due, identici tra di loro ma capaci di alternarsi più o meno all'infinito.

L'impero americano è infinitamente più forte della Germania sconfitta nella prima guerra mondiale, e si può quindi muovere in maniera più ragionata, ma anche più efficace.

Se fossimo una specie ragionevole, ci dovremmo quindi aspettare che non si parlasse più male del nazismo, per non far fare brutta figura al nuovo impero mondiale.

Invece, succede il contrario. Più la realtà attuale somiglia al nazismo, più si parla male del nazismo.

Ma mica con riferimento ai neocon americani, alla Halliburton, a Guantanamo, alla guerra infinita, all'esaltazione dello "scontro di civiltà", allo svuotamento della democrazia, alle migliaia di persone che ovunque nel mondo vengono perquisite, espulse, arrestate e spesso torturate o ammazzate solo perché sono musulmani.

No. I "nazisti che ritornano" sono al massimo qualche skinhead che ha bevuto una birra di troppo. Oppure, addirittura, sono le stesse vittime del nuovo nazismo, come le diverse comunità islamiche.

Qui torniamo a Girard, che (parlando dei Vangeli) spiega perfettamente tutto il meccanismo:


"Una versione più antica della stessa manovra è quella che Gesù rimprovera ai Farisei quando li vede innalzare tombe ai profeti uccisi dai loro padri. Le dimostrazioni spettacolari di pietà verso le vittime dei nostri predecessori dissimulano il più delle volte la volontà di giustificarci a spese di questi ultimi: 'Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri', si ripetono i Farisei, 'non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti'.

I figli ripetono i crimini dei loro padri proprio perché si credono moralmente superiori a loro."


René Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, pp. 40-41

Non è complicato. Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, ognuno di noi si sarebbe comportato proprio come si sta comportando oggi.

Aderendo, in massima parte, alla canea mimetica, al linciaggio collettivo, alla caccia al capro espiatorio, all'autoesaltazione della propria presunta civiltà.

E qualcuno, rifiutando di fare parte di tutto ciò.

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"Correva l' altro treno ignaro e quasi senza fretta..."

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 27 luglio 2005
L'attentato di Sharm el-Sheikh, ci hanno detto, è stato un attacco alla "nostra civiltà".
Marcello Pera, davanti al Senato della Repubblica, ha dichiarato:

"Questo terrorismo mira alla nostra cultura, alla nostra civiltà, al nostro modo di vita"

Anzi, come hanno tenuto a precisare alcuni, è un attacco alla Civiltà, visto che solo la nostra è una civiltà e il resto è barbarie. Tutti hanno sentito i borbottii di Calderoli a questo proposito, ma c'è di peggio.

Fausto Bertinotti, infatti, trasforma i casinò e le discoteche del Sinai nel simbolo stesso della Civiltà, una sorta di nuova accademia platonica globalconsumista, che il misterioso "Terrore" vorrebbe colpire:


«Si appalesa sempre piu' evidente il segno politico che orienta la strategia del terrore: colpire i luoghi d'incontro tra mondi diversi, tra donne e uomini dei paesi arabi e donne e uomini dell'Europa e dell'Occidente"


Per i pochi pignoli che volevano una prova che l'Osama Cosmico volesse colpire la Civiltà, i media ci hanno parlato di Cinque Maestri del Terrore, pakistani, recatisi in Egitto per uccidere. E giù articoli sulle "madrasse dell'odio", e pure sul fatto che in un remoto villaggio del Pakistan alcuni contadini avrebbero stuprato una ragazza.

I giornali ci assicurano che il dittatore, anzi il "presidente", del Pakistan, sta facendo del suo meglio per promuovere la democrazia, chiudendo giornali, sequestrando libri, compiendo arresti ovunque... eppure i pakistani continuano ad odiarci. E' così, sono piccoli, bruni e pieni di astio.

Ma adesso arrivano le prime due notizie concrete.

La prima è che i Cinque Maestri del Terrore erano dei pakistani immigrati clandestinamente in Egitto, nella speranza di trovare un lavoro come lavapiatti in nero tra le finte sfingi, i paracheopi e gli pseudoramseti della Las Vegas per europei.

Bisogna essere davvero sfortunati, se si è costretti ad andare in Egitto a cercare di sopravvivere. Ma ci vuole una congiunzione astrale tutta particolare per diventare pure, per qualche giorno, le persone più ricercate del pianeta.

La seconda notizia: la polizia egiziana avrebbe identificato uno degli attentatori morti a Sharm el-Sheikh.

E' un beduino di un villaggio vicino ad al-Arish. Per Vittorio Feltri, sarebbe un "beduino" anche il fisico pakistano di Trieste, Abdussalam. Ma in realtà questo termine indica la minuscola minoranza di persone di lingua araba che continua a vivere, almeno in parte, una vita nomade.

Gli italiani sono famosi nel mondo per aver inventato la pasta. Ma furono ancora gli italiani, in Libia, a scoprire che agli inafferrabili beduini si potevano tirare in testa le bombe dai piccoli aerei di allora.

All'altro capo del mondo arabo, in Iraq, gli inglesi ripeterono il gioco su scala ancora maggiore, questa volta con i gas velenosi. Da lì fu tutto un beduin-safari dal cielo e un aprirsi di campi sotto il sole per i sopravvissuti.

Trent'anni fa, i beduini erano circa l'1% di tutti gli arabofoni, oggi saranno sicuramente molto di meno. Quelli che sopravvivono a stento, sono talmente apolitici che in Israele possono anche fare il servizio militare.

Dopo l'attentato di Taba, come abbiamo già scritto qui, migliaia di beduini furono arrestati e torturati, e molti ancora oggi sono rinchiusi in campi di concentramento. Adesso ascoltate bene ("Il kamikaze del villaggio beduino", La Repubblica, 27 luglio 2005):


"Il sospetto, ora, è che il movente delle ultime stragi sia proprio una vendetta contro lo Stato egiziano, le sue repressioni, e l'esproprio violento delle terre abitate dai beduini per favorire lo sviluppo di località turistiche come Taba e Sharm el Sheikh".

Non dico che sia ancora la verità. Ma certamente è più vera della storia dei Cinque Maestri del Terrore, giunti dal Pakistan. E voglio vedere dove Marcello Pera la collocherebbe nella sua spiegazione del mondo.

Eppure la vicenda dei beduini dovrebbe essere familiare a tutti coloro che anni fa strimpellavano sulla chitarra la Locomotiva di Guccini, e che magari oggi partecipano alla grande Canea della Civiltà, o comunque stanno lì a predicare la non violenza ai poveri e irascibili figli delle tenebre. Il che è un modo come un altro per sentirsi l'unica Civiltà della storia umana.


Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,

un treno di lusso, lontana destinazione:

vedeva gente riverita,pensava a quei velluti, agli ori,

pensava al magro giorno della sua gente attorno,

pensava un treno pieno di signori [...]

Non so che cosa accadde, perchè prese la decisione,

forse una rabbia antica, generazioni senza nome

che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore:

dimenticò pietà, scordò la sua bontà,

la bomba sua la macchina a vapore"

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"Fuori uno!"

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 27 luglio 2005
Siamo tutti sicuramente al corrente dell'omicidio di Jean Charles de Menezes, elettricista brasiliano immobilizzato, steso a terra e liquidato con ben otto proiettili da un gruppo di poliziotto in borghese nella metropolitana di Londra.






Jean Charles de Menezes



"Fuori uno!" - il gioioso titolo di un quotidiano popolare londinese celebra l'omicidio di quello che si pensava fosse un "terrorista islamico"


Ma forse troviamo ancora difficile ragionare nei termini del dominio post-democratico in cui viviamo.

Non si è trattato di qualche forma di eccesso di "legittima difesa", a cui siamo abituati anche dalla storia italiana.

Non è la storia del sordo che non si ferma al posto di blocco perché non ha sentito intimare l'alt; non è nemmeno la storia di Carlo Giuliani.

No, perché qui hanno cambiato il principio stesso. Finché i principi restano, c'è qualche speranza. Perché puoi protestare, puoi dire che loro non rispettano le loro stesse regole.

Qui invece hanno cambiato le stesse regole. In sostanza la nuova regola è questa:

"Previously, firearms officers were trained to shoot someone who "posed a threat to life" in the body, usually twice, to disable and overwhelm them. But with the threat of suicide attacks, that was altered to allow officers to shoot a suspect - who was thought to be carrying explosives - in the head. The firearms officers are told to shoot the suspect several times so that they cannot activate a bomb, and not to shoot the body in case the bullets detonate any explosives." (Jason Bennetto, "Met chief defends 'shoot-to-kill' policy for his officers", The Independent, 25 luglio 2005).

"The only way to deal with this is to shoot to the head," spiega ai giornalisti il capo della polizia.

A modo suo, è un discorso logico.

Io, poliziotto, vedo qualcuno che ha l'aria da uomo-bomba.

Se si sapesse che lo è davvero, si presume, sarebbe stato già fermato da tempo.

Quindi posso solo ipotizzare, in base a una serie di indizi.

La pelle più scura della media (a giudicare dalle foto di de Menezes, nemmeno tanto).

Un abbigliamento un po' insolito, che so, un maglione in più.

Uno zaino o qualche altro contenitore.

Aggiungo un tocco di intuito: appare nervoso? Si guarda intorno troppo?

Bene, in questo caso il mio dovere è di non chiedergli la carta d'identità. Nemmeno di sparargli alle gambe.

Il mio dovere è di buttarlo a terra prima che lui capisca quello che sta succedendo e sparargli alla testa sette volte, più una alla schiena.

Poi lo devo perquisire e vedere se era effettivamente un uomo-bomba, o un uomo-elettricista.

Questa è la regola.

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"Sta bene come uno che sta tra leoni"

Post originale tratto dal blog Kelebek di lunedì, 25 luglio 2005

"Dopo l'attentato a Taba, [il regime egiziano] indicò come esecutori materiali alcuni beduini. Per risposta ne mise a ferro e fuoco l'intero villaggio, incarcerando e torturando (lo rivelò un rapporto di Human Rights Watch ripreso su queste pagine) quasi tremila persone, tra cui donne e anziani."

Gabriele Romagnoli, "Le porte dell'inferno", Repubblica 25.07.05

Quando vivevo in Egitto, non riuscivo a capire come la gente potesse venirci senza avere alcun interesse a vedere l'Egitto.

Come se i cinesi venissero a Roma solo per fare un tour dei ristoranti cinesi.

Provai la stessa cosa alcuni mesi fa, in un'agenzia, quando chiesi un biglietto aereo per il Messico.

"Città del Messico o Cancun?", mi chiede il commesso, come se fosse una cosa ovvia.

Superato lo choc, capii.

Esistono due Messico, uno vero e l'altro finto; o meglio, l'altro, un pezzo d'Italia incistito nel Messico.

Sharm el-Sheikh, innanzitutto, è il nulla: rocce su una costa brulla, così brulla e misera che i rari uomini che vi pescavano non sono nemmeno riusciti a inquinarla.

Dietro, la fame, qualche oasi di badawi, i "beduini", il silenzio dei monaci cristiani. Il cielo, l'aria, la morte e Dio, sul suo monte.

Vent'anni fa, giravo per una meravigliosa salina abbandonata in Sicilia, tra gli aironi. Tra breve sarebbe stata trasformata in un gigantesco termitaio turistico. La vogliono, mi dicevo, perché non l'hanno ancora violentata; ma quando le avranno rubato anima, dove andranno?

Sharm el-Sheikh è la risposta. La frontiera dell'Occidente, come la frontiera del West, che tutto divora, ha superato le frontiere politiche: andare a Sharm el-Sheikh, anzi a Sharm, richiede più o meno lo stesso tempo e la stessa spesa che andare al Gargano. E se il Gargano è Italia, lo è anche Sharm.

Nasce così una delle innumerevoli fortezze della globalizzazione.

Come le colonie israeliane, come le città private americane, come i centri commerciali, come i centri di permanenza temporanea, come le immense piantagioni armate del Guatemala, come le caserme americane con le loro discoteche e riserve di whisky nel deserto iracheno, come gli alberghi grattacielo, come i ghetti degli immigrati.

Ognuno specchio dell'altro, ognuno con guardie e muri giganteschi per includere chi va incluso, ed escludere chi va escluso.

Le guardie questa volta sono l'intera, sterminata folla dei figli dei contadini dell'Alto Egitto, con i loro volti ingenui e sorridenti, le loro divise strappate, con ancora sulle spalle i segni della frusta, tengono tra le mani la frusta del nuovo Faraone.


"Il contadino si lamenta continuamente,

la sua voce è roca come il crocidare del corvo.

Egli è sfinito dallo stare nel fango,

i suoi abiti sono stracci e cenci.

Sta bene come uno che sta tra i leoni;

malato, giace sul suolo umido."


(Satira dei mestieri, Medio Regno egizio, 2150-1750 a.C.)

Ma in fondo anche a Nassiriya, è una squadra di mercenari filippini che protegge i nostri ben retribuiti parà.

A Sharm el-Sheikh sono visi scuri a servirci, ma guardate nei bassifondi e nelle pieghe di Padova o di Roma, di Napoli o di Torino: il viso del servo è torvo e tenebroso.

Sharm el-Sheikh è la scuola invisibile che spezza le classi e crea le caste.

Il nonno, bracciante lucano, con una miseria di cose e una ricchezza di racconti e riflessioni che lo rendeva così simile ai contadini egiziani.

Il padre, operaio e comunista.

La figlia, commessa, precaria, incerta.

Lei però può permettersi la gita a Sharm, Las Vegas dei poveri. L'ebbrezza di una seducente pelle bianca - Sherif nel suo blog ha trattato con magistrale ironia il tema delle "sharmate" italiane -, tassisti, cuochi, guardie... Anche lei, illusa di farsi un giro sulla giostra d'Occidente.

Guardie, guardie, guardie che le nascondono per sempre la visione di un villaggio raso al suolo e dai visi dei suoi abitanti torturati e assassinati.

Ma finché il villaggio della finzione e il villaggio della verità non si incontreranno, resteremo tutti senza volto.

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Un nesso logico

Post originale tratto dal blog Kelebek di sabato, 23 luglio 2005


Questo commento è tratto da Repubblica di oggi. E' di Hanif Kureishi, un noto autore inglese che si definisce “liberale individualista, qualunque cosa questo significhi”, cresciuto in “un ambiente musulmano, ma non nel senso della religione”. Un autore tutt'altro che tenero verso i cosiddetti "fondamentalisti islamici".

Kureishi dice più o meno tutto quello che c'è da dire sugli attentati di Londra.

Il mito della "guerra virtuale" si è infranto. Blair, come Bush, aveva finora coltivato l'illusione della possibilità di guerre moderne, virtuali, guerre senza vittime, almeno senza vittime visibili. Coloro che morivano erano molto lontano da noi, erano iracheni. Inoltre Blair, come Bush, è stato sempre molto discreto riguardo ai soldati britannici morti in azione: i funerali dei soldati non sono mai stati pubblici. Con le bombe del 7 luglio è anche esploso questo mito di una guerra senza vittime e senza cadaveri: la guerra è arrivata a Londra.

Blair ha invaso l'Afghanistan e successivamente l'Iraq - ha davvero creduto che ciò sarebbe rimasto senza conseguenze? Dopo aver vinto nuovamente le elezioni, e poi anche i Giochi olimpici, Blair ha probabilmente pensato in un certo senso di aver finito con la guerra dell'Iraq, convincendosi di aver ritrovato la propria immagine. Queste esplosioni sono qui per ricordargli che tutte le guerre sono un affare sporco. Ecco la lezione sulla quale deve ancora riflettere.

In questi ultimi giorni, c'è stata la tendenza a stigmatizzare la comunità musulmana con l'espressione "Londonistan", ma sono convinto che la grande maggioranza dei cittadini britannici non abbia sentimenti negativi nei confronti dei musulmani, che sia ben consapevole invece che si tratta di azioni perpetrate dagli estremisti che la guerra in Iraq ha prodotto.

Non si può invadere impunemente un paese e uccidere 200.000 suoi abitanti senza provocare la minima conseguenza. Tutti coloro con cui ho parlato in questi giorni a Londra condividono questo assunto logico. Ho vissuto gli anni '70 e '80 durante i quali l'Ira faceva saltare tutto per aria: lo stesso nesso logico sussisteva tra le bombe in Inghilterra e la guerra in corso in Irlanda.

Sarebbe stupido considerare questi attentati dei semplici atti insensati o l'opera di pazzi, si tratta di una risposta alla guerra in Iraq, una guerra alla quale la stragrande maggioranza della popolazione britannica si è opposta e Tony Blair deve riconoscerlo.

Subito dopo gli attentati, è stato espresso un sentimento di solidarietà nazionale che corrisponde a ciò che ciascun cittadino ha provato, è normale, ma con il passare del tempo, le persone cominceranno a riflettere su cosa ha provocato l'irrompere della guerra nel nostro paese.

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"Vogliono distruggere la civiltà occidentale"

Post originale tratto dal blog Kelebek di venerdì, 22 luglio 2005
Fatelo dire anche a me una volta. E - credo - a ragione.

La democrazia è il valore dichiarato su cui si fondano i paesi europei da alcuni secoli.

In democrazia, si può votare a intervalli regolari. Siccome hanno fatto un sistema che ti permette di scegliere solo tra due partiti quasi identici, e io non faccio politica, calcio o cabaret a livello professionale, questo aspetto mi interessa relativamente poco.

Ci sono però aspetti della democrazia che ritengo importanti anche per me, e che riguardano in sostanza il concetto di stato di diritto. Eccone alcuni, in ordine sparso.

Prima di tutto, la legge deve essere uguale per tutti. E i diritti fondamentali devono essere coerenti nel tempo: la democrazia non è una cosa che ti concedono finché non succede nulla, per poi abrogarla ogni volta che conviene per motivi politici.

Secondo, la democrazia distingue tra azioni violente e il fatto di pensarla diversamente, anche molto diversamente, da chi detiene il potere.

Terzo, la democrazia considera che siamo innocenti fino a prova contraria.

Quarto, chi vive in un paese dove la democrazia non esiste, ha il diritto di asilo in un paese democratico se viene perseguitato per motivi etnici, religiosi o ideali.

Un paese non può dire a un altro quello che deve fare, né tantomeno può invaderlo quando gli salta in testa il capriccio di farlo.

Se non ci sono queste cose, semplicemente non c'è la democrazia. Anche se posso scegliere tra Prodi e Berlusconi.

Certo, da quando c'è la democrazia, si bara sulla sostanza: si incastrano i poveri detenuti con prove finte, si chiamano alleanze le sudditanze.

Ma sulla forma, no. Una volta che cambia anche la forma, non c'è più possibilità di ritorno, perché la forma intacca i principi stessi su cui si basa sulla società.

Guardiamo alcuni fatti recenti. Non mi riferisco né agli attentati di Londra, come non mi riferisco al linciaggio di un pakistano ucciso a calci a Nottingham solo perché aveva una faccia un po' "islamica". In entrambi i casi, si tratta di azioni di piccoli gruppi di individui, che portano le proprie responsabilità, ma non fanno la storia.

No. Parlo delle scelte di interi stati e sistemi giuridici.

Lasciamo stare Guantanamo e l'invasione dell'Iraq, perché tutti li conoscono.

Partiamo dal rapimento di un cittadino egiziano - regolarmente residente - su suolo italiano da parte di un comando di extracomunitari (statunitensi). Portato alla base extracomunitaria di Aviano, torturato e poi sparito. Nel corso del rapimento, i responsabili hanno telefonato più volte all'ambasciata degli Stati Uniti a Roma, per cui è ovvio che stiamo parlando di scelte di stato, peraltro autorizzate dal Patriot Act che ha abolito per decreto la sovranità di tutti i paesi del pianeta, ovviamente con l'eccezione degli Stati Uniti.

La cosa interessante è che le fonti ufficiose americane dicono che l'azione fu legittima, perché era stata notificata ai servizi segreti italiani. Almeno secondo loro, la legge in Italia è quindi rappresentata dai capi dei servizi segreti e non da alcuni tomi voluminosi di diritto.

Passiamo al processo contro il professore Ali al-Timimi negli Stati Uniti. Ali al-Timimi, cittadino americano e ricercatore medico, ha potuto avere un processo, nel classico stile dello stato di diritto. Contro di lui, sono state mosse tre accuse:

- nel corso di conversazioni private, avrebbe sostenuto che bisognava stare dalla parte dell'Afghanistan, allora aggredito dagli Stati Uniti, e che il futuro si stava facendo cupo per i musulmani negli Stati Uniti dopo l'11 settembre.

- in un articolo, avrebbe detto che la caduta dello shuttle sopra il Texas sarebbe stato un segno celeste.

Qui finiscono le sue colpe. Però alcuni suoi allievi sarebbero stati in Afghanistan (senza mai combattere) e si sarebbero dedicati al Paintball. Il paintball, per chi non lo sapesse, è uno sport molto popolare negli Stati Uniti, dove dei giovanotti vanno in giro per i boschi e si sparano addosso a vicenda con fucili giocattolo carichi di vernice. Una versione rambesca di nascondino, insomma.

Ali al-Timimi è stato condannato per tutto questo.

Non a due mesi con la condizionale. Nemmeno, in stile sovietico, a quattro anni di lavori forzati. Ali al-Timini è stato condannato all'ergastolo (senza diritto a essere rilasciato prima, e con l'aggiunta beffarda di altri settant'anni).

Con allegra ipocrisia, i giudici dicono che non è stato condannato per i suoi scritti e per le sue parole. Ma per aver commesso tradimento, un'azione di cui l'unica prova è costituita appunto dai suoi scritti e dalle sue parole.

In Inghilterra, invece, il ministro degli interni, Charles Clarke, ha introdotto alcune fondamentali innovazioni al concetto di democrazia. Gli anglofoni dovrebbero leggere l'articolo di The Register che ne parla; comunque i concetti fondamentali sono i seguenti.

L'Inghilterra non permetterà l'ingresso a persone che "scrivono articoli o gestiscono siti internet" politicamente scorretti, in particolare le persone che si presume (perché qui processi non se ne fanno) siano colpevoli di "istigazione indiretta". Che non è nemmeno quel concetto già vago di "istigazione", ma dovrebbe includere il fatto di aver scritto cose che poi siano ritenute da chi compie ipotetici attentati come una "giustificazione".

Il giurista Ugo Grozio non si sarebbe limitato a condannare l'invasione angloamericana. Avrebbe "giustificato" al cento per cento la resistenza armata irachena, in base al diritto naturale all'autodifesa contro un'aggressione.

Grozio non può essere messo sulla lista nera perché è morto nel 1645, ma non sarebbe difficile stilare una lista di professori universitari che "istigano indirettamente", presentando ai loro alunni i suoi insegnamenti.

Ma riserviamo per ultimo un elemento che ci riguarda tutti. Nel progetto inglese, la semplice lettura di "siti terroristi" dovrebbe venire equiparato al fatto di ricevere addestramento "terroristico".

Uno straordinario esempio di ipocrisia: il governo inglese sta per deportare persone che in passato avevano ottenuto il diritto d'asilo in Inghilterra (come a suo tempo ebbe quel "terrorista" di Mazzini). Non in base a condanne, ma in base al semplice sospetto. Bene, gli inglesi si vantano di aver ottenuto un impegno da parte del governo giordano di "non torturarle o metterle a morte".

Riassumiamo quindi: la legge e la prassi stanno introducendo come valori positivi (e non come roba da fare in segreto per poi fare finta di niente) i rapimenti, il diritto del più forte di invadere qualunque paese, gli ergastoli per quello che si scrive e si dice in privato, la fine del diritto d'asilo, la legalizzazione del rapimento e della tortura, l'introduzione di abissali creature giuridiche come la "istigazione indiretta", un'occhiata a un sito web che diventa attività criminale

Se questa non è una guerra contro la "civiltà occidentale"...

Chiaramente, tutto questo è possibile perché quelli che vengono invasi, rapiti, torturati, ergastolati, spariti e ammazzati sono solo arabi. Allo stesso modo, era possibile tenere schiavi nella Virginia dell'Ottocento perché erano neri.

Insomma, la legge cessa di essere uguale per tutti, come si vanta Carlo Giovanardi, e in questo momento colpisce soprattutto gli altri, cosa che riempie molti di piacere. Anzi, c'è una folla di gente che sbraita che "si sta facendo troppo poco". La cosa più pazzesca è che molti di quelli che fanno festa per tutte queste cose si dichiarano liberali.

Quelli che gioiscono forse non si rendono conto che da qui non si torna indietro. Nei pacifici anni novanta, nessuno ha toccato le leggi "di emergenza" varate per schiacciare le Brigate Rosse durante i cosiddetti anni di piombo.

Anzi, queste leggi e consuetudini diventeranno perversamente uguali per tutti di nuovo. Queste leggi e consetudini sono sufficienti per porre fine, una volta per tutte, al concetto di stato di diritto come lo conosciamo dalle rivoluzioni borghesi in qua. In tutto il mondo.

Il problema è che gli angloeuropei sono prontissimi all'abolizione della democrazia. Scrive The Register:

"Il più grosso problema personale per Clarke sarà probabilmente quello di spiegare alla stampa popolare perché non deporterebbe uno specifico individuo, piuttosto che giustificare le azioni contro quelli che espelle."

Nell'impero romano, la democrazia repubblicana a un certo punto si spense, anche se le sue forme durarono fino alla fine. Quello che in ultima analisi interessava ai cittadini romani era che vi fosse un sistema forte, con un immenso esercito, in grado di garantire i commerci e gli spettacoli e di crocifiggere i banditi e gli schiavi fuggiaschi lungo le pubbliche vie. L'impero, insomma.

Anche se vi fu qualche antimperialista come Bruto.

Concludo questo lunghissimo post con le parole di Ali al-Timimi, davanti al tribunale di Fairfax in Virginia che lo ha condannato:

"L'incarcerazione per qualunque periodo di tempo, come ben sa questa Corte, costituisce una crisi per la persona incarcerata e per i suoi cari. Io non faccio eccezione.

Ma credo sinceramente che la vera crisi che la mia incarcerazione comporta sia la crisi dell'America stessa. Se la mia condanna resta, vuol dire che la tradizione americana, vecchia di duecentotrent'anni, di proteggere l'individuo dalle tirannie e dai capricci del sovrano, è finita. E quello che viene adoperato oggi per perseguitare un singolo membro di una minoranza tornerà certamente domani per colpire la maggioranza".


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La fine della democrazia

Post originale tratto dal blog Kelebek di venerdì, 22 luglio 2005
"E' utopistico continuare a pensare che si possa essere tutti uguali davanti alla legge come prevede la Costituzione scritta nel '48, allora non c'erano l'immigrazione e il terrorismo".

Sono parole di Carlo Giovanardi, ministro della Repubblica (citato in Repubblica, 20.07.05, p. 4)

Con tutti i loro difetti, i governanti di destra hanno il pregio di parlare chiaro. Se si abolisce l'uguaglianza davanti alla legge, e si dichiara "utopistica" la Costituzione, si abolisce semplicemente la democrazia, presumibilmente per "esportarla" altrove.

La scusa di Giovanardi ovviamente è una menzogna, che nasce da una deliberata confusione tra politica e cronaca.

La Costituzione dovrebbe essere l'anima delle istituzioni; al limite potremmo immaginarne la sospensione in caso di imminente e reale pericolo di rovesciamento dell'intero ordine costituito.

Invece, quello che esiste è il reale pericolo che avvenga qualcosa come è successo a Londra. Cioè che quattro o cinque ragazzi di un quartiere periferico decidano di portare un po' di Iraq in Occidente.

Il risultato può essere mostruoso (mai quanto l'Iraq, ovviamente), ma costituisce un fatto di cronaca, che non scalfisce di una virgola la solidità dei partiti, del parlamento, della polizia, della scuola, della magistratura, delle frontiere, dei media e nemmeno dell'economia.

La Costituzione del '48 fu invece varata a tre anni dalla più feroce guerra della storia umana (compresa una guerra civile) e agli inizi di un'altra guerra, quella fredda. Mezza Europa, e l'immensa Cina, stavano passando a sistemi sociali e politici completamente diversi da quelli che vigevano in Italia. Si combatteva una guerra terribile nella vicina Grecia, mentre in Italia avvenivano continue sommosse di operai, di contadini e di reduci, seguite da sanguinose repressioni. Senza dimenticare una vera e propria insurrezione indipendentista in Sicilia.

All'epoca molti democristiani (cioè gli antenati politici di Giovanardi) paventavano la combinazione di un'invasione da parte del potente esercito sovietico e l'insurrezione armata di quel terzo circa degli italiani che sognava l'abbattimento dell'ordine politico liberale e dell'ordine economico capitalista. Avrebbero fatto seguito i lager di Stalin, con lavori forzati e fucilazioni di massa, sempre che le bombe atomiche statunitensi non avessero fatto piazza pulita del mondo prima.

La storia avrebbe dimostrato che quelle paure erano sbagliate (e un po' strumentali e paranoiche). Ma c'è una bella differenza tra la paura dell'Armata Rossa e la paura che si prova oggi che alcuni individui, tra la minoranza che sono i musulmani all'interno della minoranza povera che sono gli immigrati, diano di matto.

Eppure gli stessi predecessori di Giovanardi scelsero, con tutte le dovute ipocrisie, il principio dell'uguaglianza e della legalità.

Una democrazia, per restare veramente tale, si deve tenere in esercizio con aspre dispute.

Non sto parlando dei litigi o dei conflitti personali, che sono oggi rumorosi come mai in passato.

Parlo della possibilità di poter scegliere tra alternative profondamente diverse, e della non esistenza di argomenti tabù.

Come dice un mio amico, il vero scandalo non è che Berlusconi possieda tre reti su sei. Il vero scandalo è che sei reti su sei abbiano appoggiato la prima tappa della guerra lanciata dagli Stati Uniti contro il mondo: l'invasione dell'Afghanistan.

Quando tutto è ridotto a due schieramenti, e i due schieramenti diventano uno solo sulle cose fondamentali - l'adesione alla NATO, le privatizzazioni o l'accettazione della Costituzione europea, tanto per dire - la democrazia rimane solo come formula astratta.

Per questo, un ministro può dichiararne la fine con una battuta. E nessuno se ne accorge, perché la sua sostanza è già praticamente morta.

Infatti, lo stesso articolo di Repubblica segnala che il ministero della giustizia ha messo sul proprio sito l'ultimo delirio xenofobo di Oriana Fallaci.

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Cecilia Gatto Trocchi

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 13 luglio 2005
Ieri sera ho saputo che l’antropologa Cecilia Gatto Trocchi si è uccisa.
Lanciandosi dal quinto piano, con in mano la foto del figlio morto in un incidente un paio di anni fa.
Su Paniscus, potete leggere alcune note e riflessioni sulla Cecilia Gatto Trocchi, che condivido in pieno.

Non posso dire di aver conosciuta bene Cecilia.

Però l’ho incontrata più volte, visto il nostro comune interesse per l’argomento delle cosiddette “sette” e altre stranezze. Me la ricordo come una persona splendidamente frivola: i suoi vestiti, come i suoi racconti, erano sempre molto colorati. Ma con una curiosità e un amore per la vita e per il bello insaziabili, che si accompagnava a un ricco senso dell’umorismo, con un'incessante alternarsi di profondità e superficialità.

Nessuno al mondo saprà mai dire che cosa realmente volesse o pensasse, o – come amano dire gli ortodossi di ogni risma – “da che parte stesse”. Ma anche se ha sempre lasciato perplessi e confusi tutti, la cosa non mi dispiace affatto, perché nessuno sa davvero “da che parte stia” la vita.

Cecilia si era spenta irrimediabilmente dopo la morte del figlio. Ci siamo visti un’ultima volta, per puro caso, quasi due anni fa.

Mi chiese di telefonarle qualche volta.

Non l’ho mai fatto.

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Il servo di scena va a Singapore (II)

Post originale tratto dal blog Kelebek di lunedì, 11 luglio 2005
Sono nella città luminosa. In alto, in alto, in una delle quattro torri di un immenso albergo, con sale gigantesche per accogliere indifferentemente uomini d'affari tedeschi, spettacoli e il matrimonio di Eddy e di Gina: i cinesi hanno, all'incirca, gli stessi nomi che hanno i figli delle nostre telenovele.
Il Servo di scena è a tutti gli effetti un signore, almeno finché dura. Non serve, ma lavora, con efficace discrezione (e in apparente, assoluta parità di rispetto, se non di ruolo, con i suoi compagni di viaggio).
È lui a essere servito.

Ora, ogni città, più è luminosa - e Singapore merita certamente questo aggettivo -, più nasconde abissi di tenebre. Io sono molto in alto (o meglio, molto più in alto del mondo in cui mi muovo abitualmente), e proprio per questo mi sono preclusi i fossati oscuri. Ma ne intuisco qualcosa, perché c'è una chiave assolutamente familiare per capirlo: il colore della pelle.

Chi sa perché i cinesi li chiamiamo gialli, visto che hanno le stesse sfumature di colore di noi, gli uomini rosa d'Occidente (io almeno non sono certamente bianco, per mia fortuna). A Singapore, comunque, i gialli e i rosa sono entrambi esseri umani normali.

Ma ovunque, nella stessa città, vedi uomini e donne che non sono giallorosa. Ovunque, tranne nei luoghi in cui le persone hanno un nome. Indonesiani, malesiani, indiani, ti aprono le porte, ti prendono i bagagli, scavano buche per strada, sorvegliano il traffico, ti vendono piccole cose nei negozi… Scuri, sorridenti, anonimi. Uomini di servizio.

Ma allora Singapore è esattamente come Los Angeles. Oppure come Brescia, una città luminosa che io ho conosciuta tutta dai fossati e dalle tenebre, tra i Rom della cascina Cavafame.

È il nuovo modello universale. Da una parte, gli eletti. Non importa quanti disgraziati ci siano tra gli eletti, ciò che conta è che essi si sentano prima di ogni cosa, eletti. Che abbiano ogni giorno occasione di riflettere sulla loro meritata superiorità. Nel godimento dell'elezione, sparisce ogni conflitto e ogni volontà di trasformazione e si diffonde la spaventosa peste che chiamano - orwellianamente - moderazione.

Tutt'attorno, un altissimo muro, di cui il simbolo universale è quello che spezza in due il cuore della Terra Santa. Uso questo termine volutamente: c'è un angolo meraviglioso e un po' delirante in noi, che resta colpito da un fatto straordinario. È proprio nel luogo più fantasticato del mondo monoteista che la discriminazione e il culto di uno stato razziale è diventato un valore positivo, rivendicato con orgoglio, per la prima volta da sessant'anni a questa parte.

Oltre il Muro, esiste l'altra umanità. Che deve portare un chiaro segno: il colore della pelle, l'accento zoppicante, un'esotica scrittura, una religione aliena. Così lo scontro di classe diventa necessariamente "scontro di civiltà", come dicono i vampiri, i bevitori di sangue e i cialtroni.

Noi non sappiamo mai cosa debba fare esattamente quest'altra umanità: copiarci, seguirci, andarsene lontano o semplicemente morire. In realtà lo sappiamo, ma non lo ammettiamo a noi stessi, perché ci salviamo la coscienza con l'ambiguità: "che crepino, visto che avrebbero potuto copiarci, e invece non lo hanno fatto".

Perché l'altra umanità è insieme il letame su cui cresciamo i nostri figli, e l'orrore che ci circonda e ci terrorizza. E proprio perché ci terrorizza, perversamente ci unisce.

O meglio, scusate, li unisce. Perché, per quanto a volte io pianga per loro, non sarò mai dei loro.

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Il servo di scena va a Singapore (I)

Post originale tratto dal blog Kelebek di domenica, 10 luglio 2005
Come traduttore, ho un curioso privilegio. Di tanto in tanto, posso essere presente, come piccolo servo di scena, nel grande teatro del capitalismo.
Questa volta sono stato a Singapore. Ma il viaggio nella sfera del capitale, nel mondo parallelo che tocca quello nostro, senza mai compenetrarlo, inizia molto prima, nell'istante in cui varchi le porti dell'aeroporto di Milano. È lì che si entra nella dimensione del servizio. Da allora in poi, troverai soltanto sorrisi. Ci sono le hostess: fanno venire in mente l'harem che i genitori scelsero per il giovane Siddhartha, che solo quando avrebbe respinto quell'harem sarebbe diventato il Buddha.
Il punto fondamentale, che fa capire tutto il mondo del servizio, è che le ragazze non furono scelte per fascino, ma perché Siddhartha non doveva sapere che nel mondo esistevano vecchiaia, malattia o morte; e non lo deve sapere nemmeno il passeggero in aereo, accudito dalle donne-maschera. Poi noti che il perenne sorriso delle hostess è un sorriso autorevole: tu sei il loro bambino, ma proprio per questo possono porre fine con forza ferma e sicura in ogni momento a eventuali tuoi capricci.

È quindi un sorriso ben diverso da quello che incontrerai dopo tra lo staff degli alberghi, che non sono stati educati a temere bombaroli o manager isterici per la paura di volare. Il sorriso del portiere d'albergo è studiatamente servile. Non deve farti sentire bambino, ma padrone.

Il capitale è una faccenda di punti, di buchi neri che divorano immensi spazi: tutto il West è finito tritato nelle macellerie di Chicago, tutte le montagne della Sicilia e della Calabria hanno regalato la loro gioventù al Lingotto.

Singapore è infatti un punto piccolissimo, propria a metà tra l'India affamata dal cotone di Lancaster, e la Cina resa folle dall'oppio indiano: i due pilastri sotterranei e criminali dello splendore britannico; e per questa nobile funzione, ha avuto il nome sanscrito di Singapura, Città del leone.

La chiazza di zanzare, il cielo grigio, i milioni che affollano un'isola, l'aria che di giorno o di notte è un bagno di caldo e viscido vapore, si trasforma misteriosamente. Perché di Singapore ti colpiscono paradossalmente il freddo intenso, dovuto all'onnipresente aria condizionata e il verde. Ovunque, vedi piante, fiori, prati. Persino i casermoni residenziali sembrano più piccoli degli alberi che li circondano da tutti i lati.

Un mondo in apparenza estremamente ordinato. Non solo perché sul foglio che riempi quando entri a Singapore c'è scritto a grandi lettere rosse, Death for drug dealers in Singapore. Piuttosto, colpisce l'orgoglio con cui ogni singaporese ti racconta, con crescente esaltazione, i tipi di pene che vengono comminate nel suo paese. Non è solo questione di multe salate:


"Se butti una cicca per terra, ti saltano addosso i poliziotti in borghese e ti obbligano a metterti in ginocchio davanti ai passanti."

Ma c'è una grande differenza con gli sporadici tentativi occidentali di punire comportamenti asociali, i conati di zero tolerance. Perché chi ha previsto punizioni per chi butta sigarette o cartacce per terra, ha posto ovunque cestini e posacenere. Qualunque critica si voglia fare alla società di Singapore, esiste un senso straordinario dell'ordine - per usare un termine di destra - che è anche collettività - per usare un termine di sinistra. E che non crea affatto un mondo di automi robotizzati: i cinesi hanno tutta la rilassatezza, l'umorismo e l'individualità di cui si vantano gli italiani.

Non posso negare la violenza con cui il capitale divora gli esseri umani o travolge e annienta le identità. Ma così, a pelle, dovendo scegliere il male minore, credo che troverei un po' meno osceno un mondo dominato dal capitale condito con la mentalità cinese che un mondo ,dominato sempre dal capitale, ma condito con la mentalità americana. Se non altro, i cinesi hanno dovuto subire una quantità terrificante di guerre; mentre gli americani le hanno fatte.

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Il Giovin Cialtrone e il Pinocchio d'Egitto

Post originale tratto dal blog Kelebek di lunedì, 13 giugno 2005
Gira per la rete un ragazzo che scrive racconti di fantapolitica in cui gli immigrati musulmani danno alle fiamme le opere di Dante, i Promessi Sposi e pure le poesie di Leopardi (vi immaginate gli ambulanti senegalesi che se le leggono per decidere se metterle al rogo?). Un vero cialtrone, insomma. Tanto per non citare nomi, il tizio si chiama Andrea Sartori.

Ora, Andrea Sartori è apparso nei commenti del mio blog (il post su Magdi Allam, Pinocchio d'Egitto) per scrivere che "Magdi è un grande". Non è una frase molto profonda, ma evidentemente vuol dire che tra pinocchi e romanzieri ci si capisce.

Non avrei problemi, se lo stesso Andrea Sartori non fosse andato in giro per Internet in questi giorni a scrivere:

"L'estremista Miguel Martinez avalla questa voce [che Magdi Allam sarebbe copto] e lo insulta pesantemente."

Preciso che non "avallo" niente. Racconto semplicemente la mia perplessità per il fatto che ogni volta che scrivo che è musulmano, vengo bombardato da messaggi di persone che lo hanno conosciuto che mi dicono che è cristiano; viceversa, quando dico che è cristiano, mi arrivano i messaggi di quelli che lo hanno conosciuto e dicono che è musulmano. Un fatto davvero strano, visto che in Egitto le identità religiose sono nette (non dico che è un bene, dico solo che è così).

Non ho mai insultato il Pinocchio. Dico semplicemente che è un creativo dalla fantasia inesauribile, che ha distrutto la vita a un sacco di poveri immigrati e ci ha provato anche con numerosi italiani.

Il punto però è un altro. Io non vado sul blog di Andrea Sartori per poi chiamarlo, che so, "cialtrone islamofobo".

Diciamo che il blog è un po' casa mia. Posso ospitare persone che la pensano in modo molto diverso da me, se voglio, ma si comportano in maniera civile. Pensare di essere ospitati da qualcuno e poi insultarlo è come volere la botte piena e la moglie ubriaca. Non si può.

Giusto per spiegare perché ho rimosso il post di Andrea Sartori. Mica per censurarlo, può spaziare per tutta la rete se vuole. Vi ho anche detto che cosa c'era scritto nel suo post. Come avete visto, non vi siete persi molto.

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Bombe umane e un libro bomba

Post originale tratto dal blog Kelebek di lunedì, 13 giugno 2005
Anche un libro sulle bombe può essere una bomba, in grado di "mandare in frantumi un assunto - la bomba umana è fondamentalista musulmana - tanto consolidato quanto indimostrato".
La bomba - che in un mondo normale avrebbe mandato in pensione Magdi Allam e mille altri cialtroni - la scaglia un pragmatico autore americano, Robert Pape, dell'università di Chicago, che sostiene che l'impero va benissimo, ma può trovarsi nei guai se si fonda su assunti falsi.
Il kamikaze letterario Pape lo conosco per ora solo da una recensione del suo libro, Dying to Win. The Strategic Logic of Suicide Terrorism, apparsa su Repubblica del 12 giugno, a cura di Riccardo Staglianò. Altri commenti seguiranno quando avrò letto il libro.

Fate un respiro profondo e leggete con attenzione.

Pape ha analizzato tutti e 315 "attacchi suicidi" avvenuti nel mondo dal 1980 al 2003. Trecentoquindici?

Primo risultato: cinque minuti di vergogna per tutti coloro che scrivono "non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani": al primo posto vengono le Tigri Tamil, laici induisti dello Sri Lanka, con 76 attacchi di questo tipo. Solo al secondo e terzo posto, Hamas e Jihad Islamico (con 54 e 27). Anche tra coloro che vivono in paesi islamici, un terzo sono opera di gruppi laici, come il Partito dei lavoratori curdi.

Per Pape, "l'innesco della bomba" è

la liberazione della propria terra, il desiderio di vendetta, l'illusione di un riscatto sociale, quasi mai la pazzia, meno ancora l'aspettativa delle 72 vergini con cui trastullarsi nel paradiso dei martiri".


Lucidamente (e americanamente), Bruce Hoffman, direttore della Rand Corporation (un'emanazione degli aerei Lockheed, il principale appaltatore dell'esercito americano, che si occupa di dare consigli su come sottomettere altri paesi), definisce gli attacchi suicidi "la definitiva arma intelligente", capace di "fare in media quattro volte più vittime di ogni altra tecnica di guerriglia".

Pape e Hoffman sono lucidi cultori del dominio, come Giuliano Ferrara e Michael Ledeen. Francamente, è una categoria che apprezzo molto più dei dementi islamofobi, ma anche più di tanti pacifisti.

Adesso, grazie a loro, sappiamo concretamente qual è la posta in gioco. Intanto, si tratta di 315 azioni, di cui solo una parte opera di islamisti. Contro diverse decine di migliaia di incursioni aeree che hanno colpito il mondo, dalla Jugoslavia all'Iraq, dall'Afghanistan a Panama.

Non siamo noi a dire che chi ricorre a questa arma, lo fa perché quando il nemico dell'umanità sceglie il piano della violenza, è l'unica che permetta di fargliela pagare in qualche minima misura. Né siamo noi a dire che il motore non è il "culto della morte", ma il desiderio di "liberazione della propria terra".

Lo aveva già detto il regista israeliano, Giuliano Mer, intervistato da Report il 10 settembre 2004:


Il campo profughi è molto piccolo, controllato dal più potente esercito del mondo con le apparecchiature più sofisticate del mondo. Circondati da elicotteri apache e carri armati, l¹unica cosa che possono fare contro a questa enorme macchina è farsi saltare in aria. Dei 23 kamikaze che si sono fatti esplodere a Jenin io ne conoscevo sei: nessuno era religioso, nessuno cercava vergini nel cielo, ciò che li spinge è che preferiscono morire piuttosto che vivere come morti. Io credo che se i palestinesi avessero il Vietnam dietro di loro si comporterebbero come i Vietcong ma invece hanno intorno solo cemento, cemento muri muri, muri, muri, muri e muri una piccola quantità di esplosivo, chiodi, e si fanno saltare in aria, questo è quello che gli è rimasto.


Fatte queste premesse, possiamo discutere quanto vogliamo.

E' meglio un mondo in cui ci siano dominanti e dominati? Per i dominati, può essere meglio subire in silenzio? Queste azioni possono essere controproducenti, rispetto ad altre alternative, se esistono? Bene, parliamone, come ne parlano i Michael Ledeen di questo mondo.

Ma non c'è nulla da discutere con chi si rifiuta di partire dai dati reali, che sono questi.

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Ricompare il Giornalista Furioso

Post originale tratto dal blog Kelebek di mercoledì, 08 giugno 2005
Tempo fa un certo Francesco Battistini, giornalista del Corriere della Sera mi accusò di aver scritto il contrario di quello che pensavo su un forum di cui ignoravo l'esistenza, per poi concludere con la frase "Al Salamu ' aleikum, arrivederci al prossimo sgozzamento".

La storia viene raccontata nei suoi grotteschi dettagli da Lia di Haramlik (post del 26, 29 e 30 settembre 2004 nella sezione "Giornalismo cialtrone").

Pare che Battistini ne abbia combinata un'altra delle sue. Recentemente, ha intervistato un dissidente cubano, un certo Oswaldo Payá. A proposito di questa intervista, un amico mi scrive:

Vi ricordate di Battistini, il giornalista espulso - poveretto - da quel cattivone di Castro? Ricordate anche il suo articolo sul Corriere della Sera del 23 maggio in cui dava voce "al più autorevole oppositore del regime" Oswaldo Payà?

Bene, quell'articolo è pieno di menzogne e a rivelarlo e nientedimeno che lo stesso Payà dalle pagine del sito del suo movimento.

Scrive Battistini citando Payà: " La mia vita in questi tre anni è diventata ancora più dura. Da quando gli americani sono distratti dall'Iraq, e hanno bisogno di Guantánamo, Castro fa quel che vuole."

Precisa Payà: Non dissi mai "la mia vita in questi tre anni è diventata ancora più dura. Da quando gli americani sono distratti dall'Iraq, e hanno bisogno di Guantánamo, Castro fa quel che vuole". Non ho nemmeno mai sfiorato il tema".

Continua Battistini: " Hanno incarcerato me e la mia famiglia. La sicurezza dello Stato m'è entrata perfino in camera da letto, mentre dormivo con mia moglie"

Precisa ancora Payà: Non ho mai detto "hanno imprigionato me e la mia famiglia......non dissi mai la sicurezza dello Stato m'è entrata perfino in camera da letto, mentre dormivo con mia moglie".

Insomma è tutto un "non dissi mai". Potete leggere l'articolo del Corriere e la sputtanata di Payà

Mi viene da piangere se penso a tutte le verità su Cuba di cui sono stato privato con l'espulsione di Battistini. Quando si dice la qualità e l'imparzialità dell'informazione.

Capisco che tra Magdi Allam (il "Pinocchio d'Egitto") e Francesco Battistini, il Corriere della Sera stia tentando di fare concorrenza a Cronaca Vera. Purtroppo, per riuscirci, non basta inventarsi le notizie. Occorre anche avere l'impareggiabile leggerezza e ironia di cui sono maestri gli scrittori di Cronaca Vera, che continua a essere una pubblicazione molto più simpatica e divertente.

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