domenica, ottobre 28, 2007

La fine della democrazia

Post originale tratto dal blog Kelebek di venerdì, 22 luglio 2005
"E' utopistico continuare a pensare che si possa essere tutti uguali davanti alla legge come prevede la Costituzione scritta nel '48, allora non c'erano l'immigrazione e il terrorismo".

Sono parole di Carlo Giovanardi, ministro della Repubblica (citato in Repubblica, 20.07.05, p. 4)

Con tutti i loro difetti, i governanti di destra hanno il pregio di parlare chiaro. Se si abolisce l'uguaglianza davanti alla legge, e si dichiara "utopistica" la Costituzione, si abolisce semplicemente la democrazia, presumibilmente per "esportarla" altrove.

La scusa di Giovanardi ovviamente è una menzogna, che nasce da una deliberata confusione tra politica e cronaca.

La Costituzione dovrebbe essere l'anima delle istituzioni; al limite potremmo immaginarne la sospensione in caso di imminente e reale pericolo di rovesciamento dell'intero ordine costituito.

Invece, quello che esiste è il reale pericolo che avvenga qualcosa come è successo a Londra. Cioè che quattro o cinque ragazzi di un quartiere periferico decidano di portare un po' di Iraq in Occidente.

Il risultato può essere mostruoso (mai quanto l'Iraq, ovviamente), ma costituisce un fatto di cronaca, che non scalfisce di una virgola la solidità dei partiti, del parlamento, della polizia, della scuola, della magistratura, delle frontiere, dei media e nemmeno dell'economia.

La Costituzione del '48 fu invece varata a tre anni dalla più feroce guerra della storia umana (compresa una guerra civile) e agli inizi di un'altra guerra, quella fredda. Mezza Europa, e l'immensa Cina, stavano passando a sistemi sociali e politici completamente diversi da quelli che vigevano in Italia. Si combatteva una guerra terribile nella vicina Grecia, mentre in Italia avvenivano continue sommosse di operai, di contadini e di reduci, seguite da sanguinose repressioni. Senza dimenticare una vera e propria insurrezione indipendentista in Sicilia.

All'epoca molti democristiani (cioè gli antenati politici di Giovanardi) paventavano la combinazione di un'invasione da parte del potente esercito sovietico e l'insurrezione armata di quel terzo circa degli italiani che sognava l'abbattimento dell'ordine politico liberale e dell'ordine economico capitalista. Avrebbero fatto seguito i lager di Stalin, con lavori forzati e fucilazioni di massa, sempre che le bombe atomiche statunitensi non avessero fatto piazza pulita del mondo prima.

La storia avrebbe dimostrato che quelle paure erano sbagliate (e un po' strumentali e paranoiche). Ma c'è una bella differenza tra la paura dell'Armata Rossa e la paura che si prova oggi che alcuni individui, tra la minoranza che sono i musulmani all'interno della minoranza povera che sono gli immigrati, diano di matto.

Eppure gli stessi predecessori di Giovanardi scelsero, con tutte le dovute ipocrisie, il principio dell'uguaglianza e della legalità.

Una democrazia, per restare veramente tale, si deve tenere in esercizio con aspre dispute.

Non sto parlando dei litigi o dei conflitti personali, che sono oggi rumorosi come mai in passato.

Parlo della possibilità di poter scegliere tra alternative profondamente diverse, e della non esistenza di argomenti tabù.

Come dice un mio amico, il vero scandalo non è che Berlusconi possieda tre reti su sei. Il vero scandalo è che sei reti su sei abbiano appoggiato la prima tappa della guerra lanciata dagli Stati Uniti contro il mondo: l'invasione dell'Afghanistan.

Quando tutto è ridotto a due schieramenti, e i due schieramenti diventano uno solo sulle cose fondamentali - l'adesione alla NATO, le privatizzazioni o l'accettazione della Costituzione europea, tanto per dire - la democrazia rimane solo come formula astratta.

Per questo, un ministro può dichiararne la fine con una battuta. E nessuno se ne accorge, perché la sua sostanza è già praticamente morta.

Infatti, lo stesso articolo di Repubblica segnala che il ministero della giustizia ha messo sul proprio sito l'ultimo delirio xenofobo di Oriana Fallaci.

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